RECUPERIAMO IL SENSO DELLA STORIA E SMETTIAMO DI AVERE IL VUOTO DI MEMORIA
Come furono possibili il fascismo e il nazismo? Come iniziarono, quali furono i passaggi, e come fu possibile per la maggioranza delle persone seguire un percorso che a settanta/ottant’anni di distanza sembra totalmente assurdo?
Queste domande ci impegnano fare una seria riflessione su la storia che si ripete e soprattutto a cercare di recuperare il senso della storia.
Il senso della storia si recupera quando smettiamo di avere il vuoto di memoria.
La stessa risposta darebbero i vecchi partigiani.
Il fascismo fu possibile per piccoli passi di degrado che a poco a poco andarono a sostituire un senso comune e costruirono un quadro complessivo di “normalità” in cui furono gradatamente considerati leciti, corretti, tollerabili e, anzi, giustificati, il razzismo, la persecuzione, lo sterminio. Tutto questo fu possibile sotto gli occhi di tutti, quegli occhi che, come diceva Bertolt Brecht, si sono ripetutamente voltati, perché “tanto quello che accade non riguarda me”. Alla fine vennero a prendere non solo gli handicappati (non ci riguarda…), gli ebrei (non ci riguarda…), gli omosessuali (non ci riguarda…), i comunisti (non ci riguarda…), ma tutti quanti. Vennero a prendere la libertà di tutti e tutti si trovarono a vivere nell’orrore, in una società degradata fino a poterne avere vergogna per numerose generazioni a seguire.
Ebbene, che cosa stiamo vivendo ora? Non stiamo per caso, ancora una volta chiudendo gli occhi (tanto non mi riguarda…) di fronte alla tragedia quotidiana? Non stiamo per caso voltando la testa dall’altra parte? Non stiamo per caso raccontandoci una realtà di comodo che nasconde le contraddizioni intollerabili del nostro tempo? Chi sono i migranti, gli stranieri, se non la “categoria” che più sta impattando nell’inizio della degradazione della società in cui viviamo?
Moni Ovadia anni fa metteva in guardia dall’adozione di un atteggiamento superficiale verso le parole. Le parole non sono neutre. Se io sostituisco alla parola straniero o migrante la parola clandestino e se alla parola clandestino insistentemente attribuisco un significato negativo, quello di criminale, a poco a poco alimento il pre-giudizio. Se mi acquieto in visioni deliranti, volutamente strumentali, che vogliono gli italiani “brava gente” e che cercano il virus, l’agente inquinante (il capro espiatorio) in qualcuno o qualcosa al di fuori di “noi”, finisco col trovare un “altro”, un tempo l’ebreo, ora lo straniero (ma quello povero, si intende) a cui addossare colpe e nefandezze. Tutti ne avremo paura, con il conforto di un senso comune sempre più razzista. Se accetto il termine respingimento come azione legale, perfettamente lecita, di pulizia, salvaguardia, “legittima difesa”, dimenticando che la nostra Costituzione e la Carta dei Diritti dell’Umanità prevedono che si debba accogliere chi proviene da altri Paesi e verificare il suo stato di bisogno per accertare in primo luogo, se possa /debba offrirgli asilo, io muovo un passo verso una società razzista. Se io accetto che il mio Parlamento emani leggi razziste (e le ultime lo sono) e poi rifuggo alla responsabilità di ammetterlo, sono complice di una tragedia la cui portata potrebbero correre il rischio di misurare soltanto i nostri nipoti. Dobbiamo smettere con l’ipocrisia e ammettere che la maggioranza degli italiani permette che l’Italia abbia leggi razziali. E' vero che queste leggi toccano gli altri (loro) e di conseguenza la maggioranza degli italiani si gira dall'altra parte.
Non ci si rende conto, ad esempio, che la storia insegna che quegli altri (Loro)
contribuirono alla Resistenza e di conseguenza alla Liberazione, che festeggiamo ogni anno. Tanti soldati di paesi extracomunitari morirono in Italia, sotto il comando dei colonizzatori, per la libertà di Italia. Le cose che succedono in Italia in questi tempi rendono vano questo immenso sacrificio umano. A tal punto che ci si chiede: quali sono i valori (non monetari) per cui si vive in Italia?
Ottant’anni fa non furono i nazisti soltanto a precipitarci nell’orrore. Siamo gli stessi italiani di allora o avremo la capacità di aprire gli occhi su quello che sta accadendo? Dovremo rispondere alle generazioni future di come fosse possibile che i lager funzionassero oltre i confini dei campi arati o sapremo ammettere che i Centri di raccolta dei “clandestini” (ovvero quelli che diventano criminali per decreto dello Stato) sono (anche quello a pochi chilometri da noi, a Bologna), buchi neri in cui nessuno può entrare (nemmeno Amnesty International) e dove si calpestano quotidianamente i diritti più elementari? La Storia è ad un’ennesima svolta cruciale. Siamo tutti a bordo e tutti dobbiamo decidere la rotta. Nessuno si tiri fuori, specie chi ha il privilegio di rappresentarci nelle Istituzioni (locali e centrali).
Teniamo gli occhi ben aperti su quello che accade.
Perché ci riguarda.
(Marina e Wale, Comitato Primo Marzo Imola, 5 maggio 2010)
Come furono possibili il fascismo e il nazismo? Come iniziarono, quali furono i passaggi, e come fu possibile per la maggioranza delle persone seguire un percorso che a settanta/ottant’anni di distanza sembra totalmente assurdo?
Queste domande ci impegnano fare una seria riflessione su la storia che si ripete e soprattutto a cercare di recuperare il senso della storia.
Il senso della storia si recupera quando smettiamo di avere il vuoto di memoria.
La stessa risposta darebbero i vecchi partigiani.
Il fascismo fu possibile per piccoli passi di degrado che a poco a poco andarono a sostituire un senso comune e costruirono un quadro complessivo di “normalità” in cui furono gradatamente considerati leciti, corretti, tollerabili e, anzi, giustificati, il razzismo, la persecuzione, lo sterminio. Tutto questo fu possibile sotto gli occhi di tutti, quegli occhi che, come diceva Bertolt Brecht, si sono ripetutamente voltati, perché “tanto quello che accade non riguarda me”. Alla fine vennero a prendere non solo gli handicappati (non ci riguarda…), gli ebrei (non ci riguarda…), gli omosessuali (non ci riguarda…), i comunisti (non ci riguarda…), ma tutti quanti. Vennero a prendere la libertà di tutti e tutti si trovarono a vivere nell’orrore, in una società degradata fino a poterne avere vergogna per numerose generazioni a seguire.
Ebbene, che cosa stiamo vivendo ora? Non stiamo per caso, ancora una volta chiudendo gli occhi (tanto non mi riguarda…) di fronte alla tragedia quotidiana? Non stiamo per caso voltando la testa dall’altra parte? Non stiamo per caso raccontandoci una realtà di comodo che nasconde le contraddizioni intollerabili del nostro tempo? Chi sono i migranti, gli stranieri, se non la “categoria” che più sta impattando nell’inizio della degradazione della società in cui viviamo?
Moni Ovadia anni fa metteva in guardia dall’adozione di un atteggiamento superficiale verso le parole. Le parole non sono neutre. Se io sostituisco alla parola straniero o migrante la parola clandestino e se alla parola clandestino insistentemente attribuisco un significato negativo, quello di criminale, a poco a poco alimento il pre-giudizio. Se mi acquieto in visioni deliranti, volutamente strumentali, che vogliono gli italiani “brava gente” e che cercano il virus, l’agente inquinante (il capro espiatorio) in qualcuno o qualcosa al di fuori di “noi”, finisco col trovare un “altro”, un tempo l’ebreo, ora lo straniero (ma quello povero, si intende) a cui addossare colpe e nefandezze. Tutti ne avremo paura, con il conforto di un senso comune sempre più razzista. Se accetto il termine respingimento come azione legale, perfettamente lecita, di pulizia, salvaguardia, “legittima difesa”, dimenticando che la nostra Costituzione e la Carta dei Diritti dell’Umanità prevedono che si debba accogliere chi proviene da altri Paesi e verificare il suo stato di bisogno per accertare in primo luogo, se possa /debba offrirgli asilo, io muovo un passo verso una società razzista. Se io accetto che il mio Parlamento emani leggi razziste (e le ultime lo sono) e poi rifuggo alla responsabilità di ammetterlo, sono complice di una tragedia la cui portata potrebbero correre il rischio di misurare soltanto i nostri nipoti. Dobbiamo smettere con l’ipocrisia e ammettere che la maggioranza degli italiani permette che l’Italia abbia leggi razziali. E' vero che queste leggi toccano gli altri (loro) e di conseguenza la maggioranza degli italiani si gira dall'altra parte.
Non ci si rende conto, ad esempio, che la storia insegna che quegli altri (Loro)
contribuirono alla Resistenza e di conseguenza alla Liberazione, che festeggiamo ogni anno. Tanti soldati di paesi extracomunitari morirono in Italia, sotto il comando dei colonizzatori, per la libertà di Italia. Le cose che succedono in Italia in questi tempi rendono vano questo immenso sacrificio umano. A tal punto che ci si chiede: quali sono i valori (non monetari) per cui si vive in Italia?
Ottant’anni fa non furono i nazisti soltanto a precipitarci nell’orrore. Siamo gli stessi italiani di allora o avremo la capacità di aprire gli occhi su quello che sta accadendo? Dovremo rispondere alle generazioni future di come fosse possibile che i lager funzionassero oltre i confini dei campi arati o sapremo ammettere che i Centri di raccolta dei “clandestini” (ovvero quelli che diventano criminali per decreto dello Stato) sono (anche quello a pochi chilometri da noi, a Bologna), buchi neri in cui nessuno può entrare (nemmeno Amnesty International) e dove si calpestano quotidianamente i diritti più elementari? La Storia è ad un’ennesima svolta cruciale. Siamo tutti a bordo e tutti dobbiamo decidere la rotta. Nessuno si tiri fuori, specie chi ha il privilegio di rappresentarci nelle Istituzioni (locali e centrali).
Teniamo gli occhi ben aperti su quello che accade.
Perché ci riguarda.
(Marina e Wale, Comitato Primo Marzo Imola, 5 maggio 2010)