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Alina Diachuk, la sua morte servirà a qualcosa?

lunedì 3 settembre 2012



Il suicidio della giovane ucraina ha scoperchiato un pentolone di pratiche illegali al commissariato di Villa Opicina. Il punto sull’inchiesta.
Ricordate Alina Diachuk, la ragazza ucraina morta suicida nel commissariato di Villa Opicina a Trieste il 16 aprile scorso? I giornali  ne hanno scritto imediatamente a ridosso dell’episodio, in alcuni casi ricamando inutilmente sulla sua vita privata. Il dato obiettivo e rilevante era che la ragazza, appena uscita dal carcere e in attesa del provvedimento di espulsione, in quella cella non avrebbe dovuto esserci: non c’erano elementi per trattenerla. Le indagini fecero emergere subito un altro dato obiettivo e rilevante: il trattenimento illegale dei migranti, nel commissariato di Opicina era una prassi consolidata. Tra le carte di Carlo Baffi, allora responsabile dell’Ufficio Immigrazione di Trieste, adesso indagato per sequestro di persona e omicidio colposo furono trovati  materiali nazifascisti e testi antisemiti. Negli uffici è stato sequestrato invece un registro che documentava di tutto punto i trattenimenti illegali. La morte di Alina ha evidentemente scoperchiato un vaso di pandora, ricolmo di abusi e violazioni perpetrate da chi la legge dovrebbe farla rispettare. A distanza di qualche mese, Corriere Immigrazione ha deciso di tornare sulla vicenda. Troppo spesso, infatti, i casi di cronaca vengono “abbandonati” per seguire nuove notizie e così si rischia di perderne il senso.
Le indagini della Procura di Trieste, coordinate dal pm Massimo De Bortoli, hanno dunque portato alla luce altri casi di migranti illegalmente trattenuti da agosto 2011 ad aprile di quest’anno. Inizialmente si parlava di 49 persone. Questo numero, dopo ricerche più approfondite, pare essersi ridotto.  Prima la Uil-Polizia, per bocca del segretario provinciale Daniele Dovenna, poi lo stesso Carlo Baffi, hanno giustificato l’operato della questura citando una circolare ad uso interno emanata anni fa da un questore e poi riconfermata dai suoi successori. «Sono certo», ha dichiarato Baffi al quotidiano di Trieste Il Piccolo, «di aver fatto applicare quanto aveva stabilito una circolare firmata 10 anni fa dall’allora questore Natale Argirò. Abbiamo sempre agito in questo modo e né avvocati, né magistrati hanno mai avuto qualcosa da ridire». La circolare in questione sarebbe servita ad aggirare un problema logistico: dal venerdì pomeriggio alla domenica, infatti, gli uffici del giudice di pace (competente in questo caso per il convalidamento dei provvedimenti di trattenimento e di espulsione degli stranieri) rimangono chiusi.
La difesa di Baffi, così come le parole di Dovenna, contengono più di una contraddizione. Sembra non vero che a Trieste “né avvocati, né magistrati abbiano mai avuto qualcosa da ridire”. A Corriere Immigrazione, risulta che almeno un avvocato triestino (in un momento precedente alla morte di Alina) qualcosa da ridire l’abbia avuto, e che le sue richieste siano state pure prese in seria considerazione. Accortosi in tempo che un suo assistito era stato rinchiuso arbitrariamente in commissariato, ha prontamente inviato un fax alla questura contestando l’illegittimità dell’atto. Risultato: il migrante era stato rilasciato immediatamente. Perché  Baffi, così convinto della liceità del suo operato, non ha impedito (o ha permesso) la liberazione di questa persona? Corriere Immigrazione avrebbe voluto chiederglielo, ma il suo legale, Paolo Pacileo, ha risposto che un’intervista non sarebbe stata possibile. A proposito della circolare Argirò è inevitabile chiedersi come mai  la Uil-Polizia abbia deciso di “denunciarla” dieci anni dopo la sua emanazione. Il problema prima non sussisteva?
In Procura si tende a ridimensionare  la portata della circolare: aveva un contenuto troppo generico e non può in ogni caso rappresentare un alibi di fronte a reiterate violazioni della legge. L’attenzione rimane concentrata sulle responsabilità personali, in primo luogo quelle di Baffi. Ma un qualche ordine dall’alto deve esserci pur stato. Altrimenti non si spiegherebbe la sfrontatezza di quei registri in cui veniva segnato tutto: gli ingressi, le uscite, addirittura la consegna dei pasti dati. Come se trattenere discrezionalmente i migranti  fosse la cosa più normale del mondo.

http://www.corriereimmigrazione.it/ci/2012/09/alina-diachuk/
Luigi Riccio

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