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Primo marzo un anno dopo. "Non è uno sciopero etnico|

martedì 25 gennaio 2011

Questo articolo, firmato da Vittorio Longhi, è stato pubblicato da Repubblica.it

DEDICHIAMO la giornata del primo marzo al diritto e alla dignità dei lavoratori e in particolare dei lavoratori immigrati, quelli che oggi sono più penalizzati e più ricattabili". Cecile Kashetu Kyenge è un medico di origine congolese ed è anche la nuova coordinatrice del movimento Primo Marzo "24 ore senza di noi", nato l'anno scorso per indire la prima giornata di sciopero contro il razzismo e in difesa dei diritti umani.
A Roma è stata presentata la mobilitazione del 2011, con l'invito a partecipare non solo agli immigrati ma a tutti quegli italiani consapevoli del contributo sociale, culturale ed economico che portano gli stranieri. Come è già avvenuto in Francia e ancora prima negli Stati Uniti, questo movimento è partito dal basso ed è stato coordinato da un gruppo di donne italiane e immigrate attraverso i social network. In poche settimane sono riuscite a creare una fitta rete di comitati locali, di associazioni, di camere del lavoro già impegnate nell'antirazzismo e nella promozione dei diritti umani. La rete del Primo Marzo ha portato nelle piazze italiane oltre 300 mila persone e in alcune zone, soprattutto al nord, ha convinto i sindacati a proclamare una vera e propria giornata di sciopero. Solo nel bresciano sono 48 le Rsu, prevalentemente di aziende metalmeccaniche, che hanno fermato la produzione. Se nel 2010 molti hanno partecipato sull'onda emotiva dei fatti di Rosarno, quest'anno la spinta a manifestare viene dalle proteste disperate dei nordafricani
che a novembre sono saliti sulle gru, a Brescia e a Milano, contro quella che molti hanno definito la "sanatoria truffa".
Il radicamento e la crescita di questi nuovi fenomeni rivendicativi dimostrano che molti immigrati, per quanto diversi tra loro e per quanto difficili da coinvolgere, sono sempre più motivati a difendere i propri diritti. Soprattutto, non sono più disposti a subire passivamente forme di discriminazione e vogliono far sentire la propria voce per mettere in discussione il sistema di leggi, dalla Bossi-Fini al Pacchetto sicurezza, che inevitabilmente li spinge verso lo stato di precarietà e di irregolarità. L'iniziativa ha suscitato molte perplessità nelle grandi confederazioni del lavoro, perché quello che propone, secondo alcuni sindacalisti, è uno sciopero etnico mirato a dividere anziché unire. "Non si tratta di uno sciopero etnico - chiarisce Cecile Kyenge - , noi invitiamo a partecipare tutti quelli che si sentono parte di una nuova cittadinanza, italiani e immigrati insieme". E aggiunge: "Molti non considerano che se si colpisce il lavoratore immigrato, se lo si porta verso una condizione di ricattabilità, a subirne le conseguenze saranno gli stessi italiani e tutti i lavoratori ne usciranno indeboliti".
Il sostegno al movimento, che ci tiene a restare apartitico e indipendente, anche quest'anno è stato confermato dalle tante parti della società civile, dalle associazioni degli stranieri alle organizzazioni non governative, dalle singole sedi del sindacato ad alcune sezioni di partiti politici, come Sinistra e Libertà Emilia Romagna, come il Forum Immigrazione del Pd, come Rifondazione Comunista. Ma soprattutto, dicono gli organizzatori, sono i singoli cittadini che decidono di sostenerci, quelli che non hanno alcuna appartenenza. Una moltitudine di donne e di uomini, insomma, che credono nella "nuova cittadinanza", fondata sul multiculturalismo, sulla mescolanza e sull'inclusione.

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