L’Associazione Liberi Nantes aderisce allo sciopero degli immigrati del Primo Marzo e sarà presente in piazza con un proprio striscione ma soprattutto con i suoi atleti, dirigenti e staff tecnico, per manifestare la propria solidarietà a tutte le migranti e i migranti di Roma, d’Italia e del mondo intero.
Primo marzo 2010, il diritto di rompere il silenzio (di Ivan Berni)
Domani sarà la giornata senza immigrati e sarà una buona giornata per Milano. L’iniziativa che vedrà mobilitazioni in Francia, Grecia, Spagna e Portogallo toccherà, in Italia, sessanta città e coinvolgerà decine di migliaia di lavoratori immigrati, oltre a migliaia di autoctoni italiani. Si inizierà dalle 9,30 del mattino, davanti alla sede del Comune in piazza Scala, con un prima mobilitazione. All’una verranno srotolati tre grandi striscioni gialli in altrettanti punti simbolici della città. E dalle 17,30, in piazza Duomo, concentramento e corteo verso piazza Castello. Molti immigrati si asterranno dal lavoro, anche se Cgil, Cisl e Uil non hanno offerto la copertura sindacale. Chi non può è invitato a uno sciopero dei consumi e della spesa. Al di là dell’effettiva adesione a queste forme di protesta, quel che conterà, domani, è la rottura del silenzio da parte di milioni di persone, che in Italia vivono, lavoravano, studiano, pagano tasse ma non hanno diritto di parola né di rappresentanza.
Milano è stata la culla della mobilitazione italiana e il merito va a un gruppo di donne, marocchine, cubane, del Ghana e italiane che meno di tre mesi fa, a ridosso della rivolta di Rosarno e del vergognoso sgombero “etnico” dei raccoglitori di arance di colore, ha deciso che in questo paese sono maturi i tempi per la nascita di un movimento per i diritti civili dei migranti. E che il razzismo feroce della caccia all’uomo di Rosarno, e quello più infido e sottile dei leghisti di Coccaglio e dintorni, si può battere prendendo in mano il proprio destino. E’ tutto nato a Milano, grazie a un gruppo di donne, e forse quel che accadrà domani verrà ricordato come un momento storico: quello della nascita di un nuovo grande movimento destinato ad avere un ruolo di primo piano nella storia dei prossimi anni. E’ tutto nato a Milano, dalla pazienza, dalla tenacia, dalla volontà di un gruppo di donne ed è una gran bella notizia, perché dopo quasi due decenni, finalmente, la città torna ad essere al centro di un processo di cambiamento. Torna ad essere il laboratorio e il motore di una spinta sociale, di un nuovo protagonismo. Quanto avverrà domani dovrebbe essere salutato come un evento importante e positivo da tutta la politica. Il Pd, l’Italia dei Valori, I verdi e la sinistra variamente organizzata saranno in piazza. Ma anche la destra democratica dovrebbe guardare con favore alla domanda di partecipazione e alla rivendicazione, sacrosanta, dei diritti di cittadinanza da parte degli immigrati. Una destra moderna, occidentale e liberale non può aver paura dell’estensione della democrazia. Nella città di via Padova la giornata di domani può rappresentare un punto di svolta per tutti. Da domani possiamo sentirci, tutti ,meno soli, meno indifferenti e meno rancorosi. Chi pensa il contrario e sostiene – magari per infime speculazioni elettorali - che domani, per le strade del centro, sfileranno dei nemici ha sbagliato i conti. Da domani, Milano, potrebbe smettere di essere la città degli incarogniti e della paura.
Ivan Berni
(su Repubblica, 28 febbraio 2010)
Milano è stata la culla della mobilitazione italiana e il merito va a un gruppo di donne, marocchine, cubane, del Ghana e italiane che meno di tre mesi fa, a ridosso della rivolta di Rosarno e del vergognoso sgombero “etnico” dei raccoglitori di arance di colore, ha deciso che in questo paese sono maturi i tempi per la nascita di un movimento per i diritti civili dei migranti. E che il razzismo feroce della caccia all’uomo di Rosarno, e quello più infido e sottile dei leghisti di Coccaglio e dintorni, si può battere prendendo in mano il proprio destino. E’ tutto nato a Milano, grazie a un gruppo di donne, e forse quel che accadrà domani verrà ricordato come un momento storico: quello della nascita di un nuovo grande movimento destinato ad avere un ruolo di primo piano nella storia dei prossimi anni. E’ tutto nato a Milano, dalla pazienza, dalla tenacia, dalla volontà di un gruppo di donne ed è una gran bella notizia, perché dopo quasi due decenni, finalmente, la città torna ad essere al centro di un processo di cambiamento. Torna ad essere il laboratorio e il motore di una spinta sociale, di un nuovo protagonismo. Quanto avverrà domani dovrebbe essere salutato come un evento importante e positivo da tutta la politica. Il Pd, l’Italia dei Valori, I verdi e la sinistra variamente organizzata saranno in piazza. Ma anche la destra democratica dovrebbe guardare con favore alla domanda di partecipazione e alla rivendicazione, sacrosanta, dei diritti di cittadinanza da parte degli immigrati. Una destra moderna, occidentale e liberale non può aver paura dell’estensione della democrazia. Nella città di via Padova la giornata di domani può rappresentare un punto di svolta per tutti. Da domani possiamo sentirci, tutti ,meno soli, meno indifferenti e meno rancorosi. Chi pensa il contrario e sostiene – magari per infime speculazioni elettorali - che domani, per le strade del centro, sfileranno dei nemici ha sbagliato i conti. Da domani, Milano, potrebbe smettere di essere la città degli incarogniti e della paura.
Ivan Berni
(su Repubblica, 28 febbraio 2010)
Il primo marzo è già un successo (Stefania Ragusa)
LIBERAZIONE.IT
A distanza di pochi giorni o, addirittura, poche ore dal primo marzo, tante persone - giornalisti, ma non solo - mi chiedono se sono preoccupata o in ansia per la riuscita dell’iniziativa. Forse dovrei esserlo, la verità è che non lo sono: non solo perché dai comitati territoriali arrivano segnali più che incoraggianti ma anche perché, indipendentemente da quanta gente scenderà in piazza o si asterrà dal lavoro lunedì prossimo, indipendentemente dal numero di palloncini gialli che saliranno in cielo e dai metri di nastro giallo che “vestiranno” le città, l’obiettivo fondamentale di questa fase è stato già raggiunto: siamo riusciti a mobilitare migliaia di persone, a mettere in rete i movimenti antirazzisti, le associazioni di stranieri e la gente comune, a dare centralità alla questione dei dirtitti dei migranti e a legarla a quella dei diritti collettivi.
A preoccuparmi, invece, è il dopo primo marzo. Da martedì prossimo, infatti, comincia la fase due, quella della strutturazione del movimento e della proposta politica. Primo Marzo2010 nasce dal basso, come espressione della società civile e, è stato ribadito molte volte, a qualsiasi costo deve mantenere questo tratto distintivo. Rimanere espressione della società civile non vuol dire solo evitare partnership istituzionali. In altre parole: non permettere a partiti e sindacati di metterci il cappello, ferma restando l’opportunità di interloquire attivamente con quei soggetti politici - come il Pd e Rifondazione Comunista - che stanno sostenendo il movimento senza pretendere di orientarlo o manipolarlo. Vuol dire anche attrezzarsi rispetto a tentativi di - mi si passi il termine - cappellizzazione silenziosa.
Ci sono diversi modi per neutralizzare un movimento che non si capisce e che non si riesce a digerire. Uno, abbastanza scontato, è il discredito. Nei nostri confronti è stato molto usato: in particolare quando, in palese contraddizione con i fatti e le premesse del nostro manifesto programmatico, ci è stata ostinatamente attribuita la volontà di organizzare uno sciopero etnico e quella di volere strumentalizzare gli immigrati. Un altro, più insidioso, è il giochino del cavallo di Troia: ossia, inserirsi all’interno del movimento e puntare alla sua normalizzazione, ridurre i gruppi territoriali al ruolo di comitati organizzatori di eventi ed elargitori di nastrini gialli e, contestualmente, trasformare in tabù le richieste più forti venute dal basso: quella di sciopero, per esempio, che è stata strenuamente difesa da molti comitati ma anche pervicacemente osteggiata dall’esterno. Questo è un rischio concreto rispetto al quale dobbiamo aprire gli occhi e attrezzarci.
Occhi aperti e pragmatismo devono accompagnarci anche nella definizione della piattaforma politica, per non cedere alla tentazione del massimalismo. Se le aree critiche su cui lavorare (legge Bossi-Fini, pacchetto sicurezza, cittadinanza breve, tutela delle seconde generazioni, voto amministrativo, prolungamento della durata dei permessi di soggiorno, cie, respingimenti…) sono relativamente facili da individuare, meno chiara e scontata è la definizione delle priorità e delle modalità di intervento. Ai comitati territoriali è stato chiesto di elaborare autonomamente le proposte politiche, così da metterle a confronto e, sulla loro base, costruire democraticamente un’unica piattaforma politica. Personalmente credo che possa essere più efficace individuare un paio di punti e impegnarsi in modo martellante su quelli, per poi passare ad altri, piuttosto che puntare a un unico, esteso e definitivo documento. Questo, però, è solo il mio punto di vista.
Per quanto riguarda le azioni, infine, è necessario darsi a breve, brevissima scadenza, un altro appuntamento, al quale arrivare ancora più attrezzati e forti. Nell’aria ci sono già alcune date. Prima ancora che soffermarsi sui giorni però è determinante ribadire che verso questo appuntamento futuro e gli altri che seguiranno bisognerà muoversi con lo stesso spirito meticcio che ci ha guidati fino ad ora: vecchi e nuovi cittadini insieme, accomunati dal fatto di vivere sullo stesso territorio e dal rifiuto delle logiche di esclusione e di razzismo. La forza del Primo Marzo sta tutta nella sua capacità - spontanea, non costruita a tavolino - di mobilitare le persone attorno alla difesa di valori universali, a prescindere dal colore della pelle o dal luogo di nascita. Se aspiriamo a vivere in una società che sia oltre la contrapposizione tra “noi” e “loro”, autoctoni e stranieri, il primo luogo in cui questa contrapposizione deve essere superata è proprio il nostro movimento.
*Stefania Ragusa, Presidente Primo Marzo 2010.
A distanza di pochi giorni o, addirittura, poche ore dal primo marzo, tante persone - giornalisti, ma non solo - mi chiedono se sono preoccupata o in ansia per la riuscita dell’iniziativa. Forse dovrei esserlo, la verità è che non lo sono: non solo perché dai comitati territoriali arrivano segnali più che incoraggianti ma anche perché, indipendentemente da quanta gente scenderà in piazza o si asterrà dal lavoro lunedì prossimo, indipendentemente dal numero di palloncini gialli che saliranno in cielo e dai metri di nastro giallo che “vestiranno” le città, l’obiettivo fondamentale di questa fase è stato già raggiunto: siamo riusciti a mobilitare migliaia di persone, a mettere in rete i movimenti antirazzisti, le associazioni di stranieri e la gente comune, a dare centralità alla questione dei dirtitti dei migranti e a legarla a quella dei diritti collettivi.
A preoccuparmi, invece, è il dopo primo marzo. Da martedì prossimo, infatti, comincia la fase due, quella della strutturazione del movimento e della proposta politica. Primo Marzo2010 nasce dal basso, come espressione della società civile e, è stato ribadito molte volte, a qualsiasi costo deve mantenere questo tratto distintivo. Rimanere espressione della società civile non vuol dire solo evitare partnership istituzionali. In altre parole: non permettere a partiti e sindacati di metterci il cappello, ferma restando l’opportunità di interloquire attivamente con quei soggetti politici - come il Pd e Rifondazione Comunista - che stanno sostenendo il movimento senza pretendere di orientarlo o manipolarlo. Vuol dire anche attrezzarsi rispetto a tentativi di - mi si passi il termine - cappellizzazione silenziosa.
Ci sono diversi modi per neutralizzare un movimento che non si capisce e che non si riesce a digerire. Uno, abbastanza scontato, è il discredito. Nei nostri confronti è stato molto usato: in particolare quando, in palese contraddizione con i fatti e le premesse del nostro manifesto programmatico, ci è stata ostinatamente attribuita la volontà di organizzare uno sciopero etnico e quella di volere strumentalizzare gli immigrati. Un altro, più insidioso, è il giochino del cavallo di Troia: ossia, inserirsi all’interno del movimento e puntare alla sua normalizzazione, ridurre i gruppi territoriali al ruolo di comitati organizzatori di eventi ed elargitori di nastrini gialli e, contestualmente, trasformare in tabù le richieste più forti venute dal basso: quella di sciopero, per esempio, che è stata strenuamente difesa da molti comitati ma anche pervicacemente osteggiata dall’esterno. Questo è un rischio concreto rispetto al quale dobbiamo aprire gli occhi e attrezzarci.
Occhi aperti e pragmatismo devono accompagnarci anche nella definizione della piattaforma politica, per non cedere alla tentazione del massimalismo. Se le aree critiche su cui lavorare (legge Bossi-Fini, pacchetto sicurezza, cittadinanza breve, tutela delle seconde generazioni, voto amministrativo, prolungamento della durata dei permessi di soggiorno, cie, respingimenti…) sono relativamente facili da individuare, meno chiara e scontata è la definizione delle priorità e delle modalità di intervento. Ai comitati territoriali è stato chiesto di elaborare autonomamente le proposte politiche, così da metterle a confronto e, sulla loro base, costruire democraticamente un’unica piattaforma politica. Personalmente credo che possa essere più efficace individuare un paio di punti e impegnarsi in modo martellante su quelli, per poi passare ad altri, piuttosto che puntare a un unico, esteso e definitivo documento. Questo, però, è solo il mio punto di vista.
Per quanto riguarda le azioni, infine, è necessario darsi a breve, brevissima scadenza, un altro appuntamento, al quale arrivare ancora più attrezzati e forti. Nell’aria ci sono già alcune date. Prima ancora che soffermarsi sui giorni però è determinante ribadire che verso questo appuntamento futuro e gli altri che seguiranno bisognerà muoversi con lo stesso spirito meticcio che ci ha guidati fino ad ora: vecchi e nuovi cittadini insieme, accomunati dal fatto di vivere sullo stesso territorio e dal rifiuto delle logiche di esclusione e di razzismo. La forza del Primo Marzo sta tutta nella sua capacità - spontanea, non costruita a tavolino - di mobilitare le persone attorno alla difesa di valori universali, a prescindere dal colore della pelle o dal luogo di nascita. Se aspiriamo a vivere in una società che sia oltre la contrapposizione tra “noi” e “loro”, autoctoni e stranieri, il primo luogo in cui questa contrapposizione deve essere superata è proprio il nostro movimento.
*Stefania Ragusa, Presidente Primo Marzo 2010.
"Il Primo Marzo di tutti noi" di Fabrizio Gatti
In AdesioniI miei compagni di classe alla scuola materna dicevano che non dovevo parlare con Elio. Eravamo bambini di quattro e cinque anni. Elio aveva un cognome lombardo, era discendente di una famiglia lombarda da generazioni. Ma aveva una colpa per la quale doveva essere escluso dai nostri giochi: Elio abitava con i terroni.
Elio viveva in un caseggiato malmesso affacciato su un cortile polveroso. E i suoi vicini di casa erano famiglie di calabresi, siciliani, campani che si ammassavano nei bilocali senza bagno, una porta e una sola finestra in cambio di un lavoro come manovali, addetti alle pulizie, i più fortunati come operai nell'industria. Era il 1970 e Milano e la sua provincia avevano tre categorie di abitanti. C'erano i lombardi, baluardo dell'operosità e dell'onestà. C'erano i terroni del Nord, veneti e friulani, bravi, eh, onesti pure loro, ma non mancavano le suore e i parroci che mettevano in guardia i teenager del posto, mai fidanzarsi con venete e friulane che, si sa, sono ragazze di facili costumi. Poi c'erano i terroni terroni: quegli incoscienti che fanno figli come conigli, non sanno nemmeno parlare l'italiano, non si lavano, anzi puzzano, Dio santo come si fa a vivere così, tengono le galline in cucina, piangono miseria, affitti la casa a uno di loro e te la ritrovi piena di gente, in Comune hanno sempre la precedenza nelle liste per le case popolari, per i libri a scuola, non hanno voglia di lavorare e lo Stato li premia, sono mafiosi, rubano, violentano le donne, guarda le loro mogli, si vestono di nero e le vecchie sono obbligate a portare il velo, ma come si fa, sono così diversi da noi, mica possiamo accoglierli tutti questi terroni, non siamo razzisti per carità, ma perché non li aiutano a casa loro? Quei discorsi, respirati dai bambini, avevano condannato Elio all'esclusione. Perfino lui che era lombardo.
Ma oggi, quarant'anni dopo, quell'insulto, terrone, è praticamente scomparso. Chi fa più caso all'origine geografica di un cognome o di un nome? È bastata una generazione per cancellare gli effetti di questa segregazione. E grazie a quell'immigrazione interna dal 1970 l'Italia, la sua industria, la sua economia, la sua cultura, hanno potuto crescere. Adesso la sfida è la stessa: costruire una nuova unità, una nuova ricchezza del Paese. La sfida è mettere la generazione dei nostri figli nelle condizioni di considerare normale la differenza di pelle, di nome, di religione, al punto da non considerarla più una differenza. Ci vorrà tempo. Forse, come per il piccolo Elio e per tutti noi ex terroni, ci vorrà un'intera generazione. Ma le fondamenta perché questo avvenga dipendono da quello che noi facciamo oggi.
La segregazione tra italiani e stranieri è ancora feroce, ma il sistema xenofobo che l'ha voluta si avvia alla decomposizione. Non ha futuro. Il sistema di potere che l'ha prodotto è già morto, sta marcendo nel cancro delle tangenti, nelle complicità con la mafia, nella parodia dell'onestà e della buona amministrazione che dal 1994 in poi ha diviso l'Italia e l'ha ridotta al cadavere che è. Il capolinea di tutto questo è il 2013, forse anche prima. Poi ci sarà il vuoto. E tutti noi, cittadini onesti, che non ci riconosciamo nel marciume della corruzione, abbiamo l'obbligo di riempirlo. Anche semplicemente con la nostra presenza, con le nostre piccole azioni quotidiane. Ecco perché le manifestazioni di lunedì primo marzo sono un'occasione importante per esserci, per pretendere un Paese diverso, per rendere possibile una nuova unità nazionale dove la libertà di esistere non dipende dal passaporto del luogo dove ciascuno di noi è nato ma dallo Stato, dalla città, dal quartiere dove ora vive. Esserci è un dovere di solidarietà nei confronti di Ion Cazacu, ingenere e muratore, padre di due bimbe, bruciato vivo dal suo datore di lavoro. È un dovere nei confronti dei braccianti presi a fucilate a Rosarno. Ma è anche l'unico, ultimo mezzo che ci resta per far sapere che in questa Italia in cui la criminalità organizzata siede in Parlamento tutti noi, cittadini onesti, oggi siamo stranieri.
(Fabrizio Gatti parteciperà alle manifestazioni di Milano)
25 febbraio 2010
Elio viveva in un caseggiato malmesso affacciato su un cortile polveroso. E i suoi vicini di casa erano famiglie di calabresi, siciliani, campani che si ammassavano nei bilocali senza bagno, una porta e una sola finestra in cambio di un lavoro come manovali, addetti alle pulizie, i più fortunati come operai nell'industria. Era il 1970 e Milano e la sua provincia avevano tre categorie di abitanti. C'erano i lombardi, baluardo dell'operosità e dell'onestà. C'erano i terroni del Nord, veneti e friulani, bravi, eh, onesti pure loro, ma non mancavano le suore e i parroci che mettevano in guardia i teenager del posto, mai fidanzarsi con venete e friulane che, si sa, sono ragazze di facili costumi. Poi c'erano i terroni terroni: quegli incoscienti che fanno figli come conigli, non sanno nemmeno parlare l'italiano, non si lavano, anzi puzzano, Dio santo come si fa a vivere così, tengono le galline in cucina, piangono miseria, affitti la casa a uno di loro e te la ritrovi piena di gente, in Comune hanno sempre la precedenza nelle liste per le case popolari, per i libri a scuola, non hanno voglia di lavorare e lo Stato li premia, sono mafiosi, rubano, violentano le donne, guarda le loro mogli, si vestono di nero e le vecchie sono obbligate a portare il velo, ma come si fa, sono così diversi da noi, mica possiamo accoglierli tutti questi terroni, non siamo razzisti per carità, ma perché non li aiutano a casa loro? Quei discorsi, respirati dai bambini, avevano condannato Elio all'esclusione. Perfino lui che era lombardo.
Ma oggi, quarant'anni dopo, quell'insulto, terrone, è praticamente scomparso. Chi fa più caso all'origine geografica di un cognome o di un nome? È bastata una generazione per cancellare gli effetti di questa segregazione. E grazie a quell'immigrazione interna dal 1970 l'Italia, la sua industria, la sua economia, la sua cultura, hanno potuto crescere. Adesso la sfida è la stessa: costruire una nuova unità, una nuova ricchezza del Paese. La sfida è mettere la generazione dei nostri figli nelle condizioni di considerare normale la differenza di pelle, di nome, di religione, al punto da non considerarla più una differenza. Ci vorrà tempo. Forse, come per il piccolo Elio e per tutti noi ex terroni, ci vorrà un'intera generazione. Ma le fondamenta perché questo avvenga dipendono da quello che noi facciamo oggi.
La segregazione tra italiani e stranieri è ancora feroce, ma il sistema xenofobo che l'ha voluta si avvia alla decomposizione. Non ha futuro. Il sistema di potere che l'ha prodotto è già morto, sta marcendo nel cancro delle tangenti, nelle complicità con la mafia, nella parodia dell'onestà e della buona amministrazione che dal 1994 in poi ha diviso l'Italia e l'ha ridotta al cadavere che è. Il capolinea di tutto questo è il 2013, forse anche prima. Poi ci sarà il vuoto. E tutti noi, cittadini onesti, che non ci riconosciamo nel marciume della corruzione, abbiamo l'obbligo di riempirlo. Anche semplicemente con la nostra presenza, con le nostre piccole azioni quotidiane. Ecco perché le manifestazioni di lunedì primo marzo sono un'occasione importante per esserci, per pretendere un Paese diverso, per rendere possibile una nuova unità nazionale dove la libertà di esistere non dipende dal passaporto del luogo dove ciascuno di noi è nato ma dallo Stato, dalla città, dal quartiere dove ora vive. Esserci è un dovere di solidarietà nei confronti di Ion Cazacu, ingenere e muratore, padre di due bimbe, bruciato vivo dal suo datore di lavoro. È un dovere nei confronti dei braccianti presi a fucilate a Rosarno. Ma è anche l'unico, ultimo mezzo che ci resta per far sapere che in questa Italia in cui la criminalità organizzata siede in Parlamento tutti noi, cittadini onesti, oggi siamo stranieri.
(Fabrizio Gatti parteciperà alle manifestazioni di Milano)
25 febbraio 2010
Su ispirazione del salmo 137
In Fondo degli scrittorisabato 27 febbraio 2010
Lungo fiumi, deserto sabbioso, foresta tropicale, savana arida ci siamo seduti in pianto
Al ricordo struggente della nostra terra;
abbiamo appeso i nostri canti strazianti
sulle palme ombrifere e sui mastodontici baobab.
Oppressori e infami aguzzini
Ci chiedono i nostri silenzi
Dopo averci ridotti in catene,
ci chiedono sottomissione e ci dicono poi
"andatevene a casa vostra"
Potevamo noi ritornare
Quando le nostre ricchezze sono state
Strappate, trafugate, rapinate?
I nostri arti siano rattrappiti
Se non diciamo cose vere.
Possiamo rimanere muti tutta la vita
Se non veniamo per trovare un po' di lavoro
Se non veniamo con la mente aperta.
Abbiamo sperato che l'Italia "parola Aperta"
Potesse accoglierci e riparare all'offesa dall'Occidente recata.
Vi ricordate quando ci avete portato via
In catene su navi stracolme. Vi ricordate quando
Ci avete riempito di gas perniciosi
Vi ricordate quando ci avete colmato
Di veleni di scarico.
Italia, Europa perché continui a disprezzarci
Abbiamo aperto le nostre palme
In segno di pace.
Abbiamo alzato la nostra voce per dirvi che ci siamo anche noi a doverci sfamare con un tozzo di pane
Raffaele Taddeo
Al ricordo struggente della nostra terra;
abbiamo appeso i nostri canti strazianti
sulle palme ombrifere e sui mastodontici baobab.
Oppressori e infami aguzzini
Ci chiedono i nostri silenzi
Dopo averci ridotti in catene,
ci chiedono sottomissione e ci dicono poi
"andatevene a casa vostra"
Potevamo noi ritornare
Quando le nostre ricchezze sono state
Strappate, trafugate, rapinate?
I nostri arti siano rattrappiti
Se non diciamo cose vere.
Possiamo rimanere muti tutta la vita
Se non veniamo per trovare un po' di lavoro
Se non veniamo con la mente aperta.
Abbiamo sperato che l'Italia "parola Aperta"
Potesse accoglierci e riparare all'offesa dall'Occidente recata.
Vi ricordate quando ci avete portato via
In catene su navi stracolme. Vi ricordate quando
Ci avete riempito di gas perniciosi
Vi ricordate quando ci avete colmato
Di veleni di scarico.
Italia, Europa perché continui a disprezzarci
Abbiamo aperto le nostre palme
In segno di pace.
Abbiamo alzato la nostra voce per dirvi che ci siamo anche noi a doverci sfamare con un tozzo di pane
Raffaele Taddeo
I miei Rumeni
In Fondo degli scrittoriSono andati via.
Hanno abitato l’attico che sovrasta il mio appartamento per poco più di un anno. Ricordo quando erano appena arrivati con le loro povere cose, valigie gonfie e malandate, pacchi confezionati alla meglio, buste di plastica provate da un lungo viaggio.
Accolti dai condomini con sospetto e forzata sopportazione. In nome dei tempi che cambiano, qualcuno diceva :- Speriamo che si comportino bene! Altrimenti…!
Già tutti pronti a far capire ai “nuovi” che le regole vanno rispettate, anzi che qualcuno deve rispettarle di più.
I Rumeni cominciarono la loro avventura muovendosi con circospezione, ridotti alla condizione di piccole formiche esploratrici, su un terreno che avvertivano impervio e pericoloso.
Salutavano sempre con rispetto, cedevano il passo all’ascensore, trattenevano aperto il pesante cancello quando scorgevano un condomino in arrivo: piccole accortezze che hanno a che fare con le norme della buona educazione ma che loro sentivano l’obbligo di osservare a differenza degli altri, i padroni di casa , cui era concesso qualche piccola o grande reciproca scortesia che non avrebbe avuto conseguenza alcuna.
Un giorno diedero una grande festa, con canti, suoni e balli in stile rumeno, nel mio appartamento sembrava essersi scatenato l’inferno!
Salii al piano di sopra determinata a chiedere, in nome della civile convivenza, di contenere la loro allegria…Non ero arrabbiata ma stupita e allarmata, ero certa che qualcuno si sarebbe risentito e volevo battere gli altri sul tempo.
Mi accolsero con vera gioia:- Entra! Entra! Mi dissero. –Stiamo festeggiando per ingresso Romania in Europa!
Avevano gli occhi neri e lucenti, grandi e piccini.
Vollero farmi assaggiare i loro dolci (squisiti) e i loro cibi piccanti.
Poi la padrona di casa mi presentò parenti e amici e ognuno pareva ansioso di raccontarmi la sua storia.
Ognuno a modo suo chiese scusa per il disturbo arrecato, le donne si tolsero repentinamente le scarpe promettendo balli silenziosi…
Così ho conosciuto Kaljia e i suoi tre figli musicisti, venuti in Italia per lavorare e sfuggire alla miseria di un paese che non offre prospettive.
Col tempo io e Kaljia siamo diventate amiche. Lei lavorava duramente dal mattino alla sera, i figli soprattutto la sera, di giorno si esercitavano a trarre nostalgiche melodie o allegre ballate dai loro strumenti.
In uno dei nostri momenti di confidenza, non molto tempo fa, a seguito di episodi di violenza che avevano coinvolto suoi connazionali, Kaljia mi ha detto di essere molto preoccupata perché vedeva in pericolo il suo posto di lavoro. – Ora Italiani pensano che noi Rumeni siamo tutti delinquenti…Non è giusto!
Più tardi mi confidò che avrebbe dovuto cambiare casa. Il proprietario dell’appartamento le aveva, da un giorno all’altro, aumentato l’affitto di trecento euro…Un modo come un altro per costringerla ad andare via.
Ci siamo salutati, io e i miei Rumeni, con le lacrime agli occhi e poche parole.
Le ultime parole di kaljia sono state:- Coraggio! Io sempre prego per tuo fratello e tutti voi…Dio ci ama e ci protegge, per Lui noi siamo come figli…tutti uguali!
Eleonora Bernardi
Hanno abitato l’attico che sovrasta il mio appartamento per poco più di un anno. Ricordo quando erano appena arrivati con le loro povere cose, valigie gonfie e malandate, pacchi confezionati alla meglio, buste di plastica provate da un lungo viaggio.
Accolti dai condomini con sospetto e forzata sopportazione. In nome dei tempi che cambiano, qualcuno diceva :- Speriamo che si comportino bene! Altrimenti…!
Già tutti pronti a far capire ai “nuovi” che le regole vanno rispettate, anzi che qualcuno deve rispettarle di più.
I Rumeni cominciarono la loro avventura muovendosi con circospezione, ridotti alla condizione di piccole formiche esploratrici, su un terreno che avvertivano impervio e pericoloso.
Salutavano sempre con rispetto, cedevano il passo all’ascensore, trattenevano aperto il pesante cancello quando scorgevano un condomino in arrivo: piccole accortezze che hanno a che fare con le norme della buona educazione ma che loro sentivano l’obbligo di osservare a differenza degli altri, i padroni di casa , cui era concesso qualche piccola o grande reciproca scortesia che non avrebbe avuto conseguenza alcuna.
Un giorno diedero una grande festa, con canti, suoni e balli in stile rumeno, nel mio appartamento sembrava essersi scatenato l’inferno!
Salii al piano di sopra determinata a chiedere, in nome della civile convivenza, di contenere la loro allegria…Non ero arrabbiata ma stupita e allarmata, ero certa che qualcuno si sarebbe risentito e volevo battere gli altri sul tempo.
Mi accolsero con vera gioia:- Entra! Entra! Mi dissero. –Stiamo festeggiando per ingresso Romania in Europa!
Avevano gli occhi neri e lucenti, grandi e piccini.
Vollero farmi assaggiare i loro dolci (squisiti) e i loro cibi piccanti.
Poi la padrona di casa mi presentò parenti e amici e ognuno pareva ansioso di raccontarmi la sua storia.
Ognuno a modo suo chiese scusa per il disturbo arrecato, le donne si tolsero repentinamente le scarpe promettendo balli silenziosi…
Così ho conosciuto Kaljia e i suoi tre figli musicisti, venuti in Italia per lavorare e sfuggire alla miseria di un paese che non offre prospettive.
Col tempo io e Kaljia siamo diventate amiche. Lei lavorava duramente dal mattino alla sera, i figli soprattutto la sera, di giorno si esercitavano a trarre nostalgiche melodie o allegre ballate dai loro strumenti.
In uno dei nostri momenti di confidenza, non molto tempo fa, a seguito di episodi di violenza che avevano coinvolto suoi connazionali, Kaljia mi ha detto di essere molto preoccupata perché vedeva in pericolo il suo posto di lavoro. – Ora Italiani pensano che noi Rumeni siamo tutti delinquenti…Non è giusto!
Più tardi mi confidò che avrebbe dovuto cambiare casa. Il proprietario dell’appartamento le aveva, da un giorno all’altro, aumentato l’affitto di trecento euro…Un modo come un altro per costringerla ad andare via.
Ci siamo salutati, io e i miei Rumeni, con le lacrime agli occhi e poche parole.
Le ultime parole di kaljia sono state:- Coraggio! Io sempre prego per tuo fratello e tutti voi…Dio ci ama e ci protegge, per Lui noi siamo come figli…tutti uguali!
Eleonora Bernardi
"Ovunque vivere altrove"
In Fondo degli scrittori... Al richiamo di terre non ancora promesse
verso gli abbondanti nidi di fango
un'onda sale
come stormo di uccelli migranti,
una moltitudine viene
fragorosa viene
a vendicare rapine
e a rimescolare la storia.
Poesia di Claudio Nereo Pellegrini, prete operaio tra i
minatori italiani in Belgio.
verso gli abbondanti nidi di fango
un'onda sale
come stormo di uccelli migranti,
una moltitudine viene
fragorosa viene
a vendicare rapine
e a rimescolare la storia.
Poesia di Claudio Nereo Pellegrini, prete operaio tra i
minatori italiani in Belgio.
Federazione della Sinistra: “insieme ai migranti per i diritti e contro ogni discriminazione”
In AdesioniLa Federazione della Sinistra sosterrà con la propria presenza organizzata le iniziative del primo marzo, che prevedono anche scioperi e forme di astensione dal consumo, e sarà presente alle manifestazioni indette nella giornata. Nel momento in cui anche i gravi fatti di Via Padova vengono strumentalizzati dalle destre a fini demagogici ed elettoralistici e per intensificare le politiche sicuritarie e razziste, ci sentiamo impegnati a fianco dei migranti nelle battaglie per i diritti e contro ogni discriminazione. Per questo impegniamo tutti i nostri iscritti a contribuire alla piena riuscita delle iniziative previste.
Antonello Patta, Segretario Provinciale PRC
Antonello Patta, Segretario Provinciale PRC
L'ANED aderisce al Primo Marzo
In AdesioniL'ANED - Associazione nazionale ex deportati
politici nei campi nazisti - sezione di Milano
aderisce alle manifestazioni indette per il 1°
marzo in occasione della giornata di
mobilitazione dei migranti e augura ad esse pieno successo.
L'ANED - che rappresenta coloro che alla politica
razzista, intollerante e violenta del fascismno e
del nazisno hanno pagato forse il prezzo piu'
alto - non puo' che denunciare il clima di
intolleranza, di razzismo e di odio xenofobo
instauratosi ormai in larga parte del paese e non
puo' che schierarsi al fianco di tutte le forze
che quel clima combattono,in difesa dei diritti
dei piu' deboli, contro lo sfruttamento.
Ai partecipanti alle manifestazioni del 1° marzo
la solidarieta' e l'abbraccio degli ex deportati e dei loro familiari.
Dario Venegoni
presidente della sezione di Milano dell'ANED
politici nei campi nazisti - sezione di Milano
aderisce alle manifestazioni indette per il 1°
marzo in occasione della giornata di
mobilitazione dei migranti e augura ad esse pieno successo.
L'ANED - che rappresenta coloro che alla politica
razzista, intollerante e violenta del fascismno e
del nazisno hanno pagato forse il prezzo piu'
alto - non puo' che denunciare il clima di
intolleranza, di razzismo e di odio xenofobo
instauratosi ormai in larga parte del paese e non
puo' che schierarsi al fianco di tutte le forze
che quel clima combattono,in difesa dei diritti
dei piu' deboli, contro lo sfruttamento.
Ai partecipanti alle manifestazioni del 1° marzo
la solidarieta' e l'abbraccio degli ex deportati e dei loro familiari.
Dario Venegoni
presidente della sezione di Milano dell'ANED
Beshir
In Fondo degli scrittoriBeshir è aggrappato forte, con la mano alla ringhiera
Mentre sotto il mare luccica di una luna quasi intera
Beshir è un uomo forte, come forte è il suo dolore
Che lo ha spinto a ritrovarsi semi morto in mezzo al mare
Beshir è un uomo forte come forte è la speranza
Di chi cerca nell’Italia un porto di sopravvivenza
Beshir resta aggrappato e ha la testa fra le gambe
Negli occhi ancora il sangue nella mente ancora il sangue
Ha in bocca una preghiera tutto quello che gli resta
Della sua terra stuprata, della sua famiglia morta
Beshir è un uomo libero e può sceglier di morire
Di botte in terra libica o di stenti in mezzo al mare
Beshir è un uomo libero senza libertà di scelta
O partire per l’Italia, o morire senza fretta
BESHIR SU QUELLA BARCA VIVE, BESHIR SU QUELLA BARCA PREGA
BESHIR SU QUELLA BARCA RIDE, BESHIR IN QUELLA BARCA, CREDE!
E Beshir è un uomo fortunato perché riesce ancora a respirare
Vicino a lui ne ha visti tanti spegnersi e finire in mare
Beshir è un uomo fortunato di una fortuna che nessuno
Vuole o vorrebbe mai avere
BESHIR SU QUELLA BARCA VIVE, BESHIR SU QUELLA BARCA PREGA
BESHIR SU QUELLA BARCA RIDE, BESHIR IN QUELLA BARCA, CREDE!
E Beshir è un uomo disperato come la sua voglia di vivere
Che lo spinge a continuare ancora che lo spinge ancora a stringere
Nelle mani la ringhiera e nella bocca una parola…
Vivere!
Testo: Paolo Piccoli
Testo musicato dalla Piccola Orchestra Karascio’
Mentre sotto il mare luccica di una luna quasi intera
Beshir è un uomo forte, come forte è il suo dolore
Che lo ha spinto a ritrovarsi semi morto in mezzo al mare
Beshir è un uomo forte come forte è la speranza
Di chi cerca nell’Italia un porto di sopravvivenza
Beshir resta aggrappato e ha la testa fra le gambe
Negli occhi ancora il sangue nella mente ancora il sangue
Ha in bocca una preghiera tutto quello che gli resta
Della sua terra stuprata, della sua famiglia morta
Beshir è un uomo libero e può sceglier di morire
Di botte in terra libica o di stenti in mezzo al mare
Beshir è un uomo libero senza libertà di scelta
O partire per l’Italia, o morire senza fretta
BESHIR SU QUELLA BARCA VIVE, BESHIR SU QUELLA BARCA PREGA
BESHIR SU QUELLA BARCA RIDE, BESHIR IN QUELLA BARCA, CREDE!
E Beshir è un uomo fortunato perché riesce ancora a respirare
Vicino a lui ne ha visti tanti spegnersi e finire in mare
Beshir è un uomo fortunato di una fortuna che nessuno
Vuole o vorrebbe mai avere
BESHIR SU QUELLA BARCA VIVE, BESHIR SU QUELLA BARCA PREGA
BESHIR SU QUELLA BARCA RIDE, BESHIR IN QUELLA BARCA, CREDE!
E Beshir è un uomo disperato come la sua voglia di vivere
Che lo spinge a continuare ancora che lo spinge ancora a stringere
Nelle mani la ringhiera e nella bocca una parola…
Vivere!
Testo: Paolo Piccoli
Testo musicato dalla Piccola Orchestra Karascio’
Il Pime con Primo Marzo
In AdesioniIl Centro missionario Pime di Milano ha deciso di aderire alla giornata di mobilitazione, ed esporrà simbolicamente alcuni drappi gialli, il colore di riferimento della manifestazione.
Adesione Serracchiani
In AdesioniDebora Serracchiani, europarlamentare del PD, aderisce e sostiene il movimento Primo Marzo 2010.
Terres des Hommes aderisce al Primo Marzo
In AdesioniLa sezione italiana dell'ong Terres des Hommes aderisce e sostiene il movimento Primo Movimento 2010.
Gianni Rinaldini per il Primo Marzo
Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, ha rilasciato ieri, venerdì 26 febbraio, la seguente dichiarazione: «Ribadisco l’adesione della Fiom alle iniziative del 1° marzo per affermare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri contro ogni forma di discriminazione. Le strutture della Fiom decideranno le forme e le modalità di partecipazione alle manifestazioni previste, compreso il sostegno a iniziative di sciopero aziendali promosse dalle Rsu.»
I Giovani Democratici del Lazio aderiscono allo sciopero degli stranieri di lunedì 1° Marzo
In AdesioniNon possiamo che condividere le ragioni di questa manifestazione, nella condanna che i promotori fanno del razzismo e delle spinte xenofobe di ogni tipo.
“Il razzismo è un elemento sempre presente nella nostra società, più o meno sotto traccia.”, dichiara Sara Battisti, segretario regionale dei Giovani Democratici, “In questo paese una discussione politica seria sull’integrazione sociale e culturale degli immigrati non è mai stata fatta. C’è molta ipocrisia sull’argomento: da una parte gli immigrati sono necessari per il nostro paese, e spesso vengono in quest’ottica maltrattati e sfruttati, dall’altra sono uno spauracchio da agitare in campagna elettorale per sfruttare elettoralmente la paura delle persone. C’è bisogno di una discussione più seria e serena, e questa manifestazione può aiutare.”
“C’è bisogno di un nuovo patto fra lo Stato e gli immigrati, che definisca diritti e doveri di chi viene a vivere nel nostro paese in fuga da situazioni disperate o in cerca di una vita migliore.” dichiara David Di Cosmo, presidente dei GD Lazio, “Noi crediamo sia necessario partire dal voto alle amministrative e dalla cittadinanza breve, mentre lo Stato non può rinunciare ad una politica che governi i flussi migratori in maniera coordinata con gli altri Stati dell’Unione Europea.”
“Il razzismo è un elemento sempre presente nella nostra società, più o meno sotto traccia.”, dichiara Sara Battisti, segretario regionale dei Giovani Democratici, “In questo paese una discussione politica seria sull’integrazione sociale e culturale degli immigrati non è mai stata fatta. C’è molta ipocrisia sull’argomento: da una parte gli immigrati sono necessari per il nostro paese, e spesso vengono in quest’ottica maltrattati e sfruttati, dall’altra sono uno spauracchio da agitare in campagna elettorale per sfruttare elettoralmente la paura delle persone. C’è bisogno di una discussione più seria e serena, e questa manifestazione può aiutare.”
“C’è bisogno di un nuovo patto fra lo Stato e gli immigrati, che definisca diritti e doveri di chi viene a vivere nel nostro paese in fuga da situazioni disperate o in cerca di una vita migliore.” dichiara David Di Cosmo, presidente dei GD Lazio, “Noi crediamo sia necessario partire dal voto alle amministrative e dalla cittadinanza breve, mentre lo Stato non può rinunciare ad una politica che governi i flussi migratori in maniera coordinata con gli altri Stati dell’Unione Europea.”
"Noi! e "Loro" (poesia di Paolo Buffoni per il Primo Marzo))
NOI E LORO
noi e loro: separati da un foglio di carta,
duro e buio come la cattiveria.
noi e loro,
transennati in code incomunicanti
per accedere ai comuni incubi delle questure.
noi e loro,
lacerati da un debito plurisecolare:
loro non lo sanno calcolare,
noi non sappiamo come fare per ripagare!
noi e loro,
intimiditi da timori subliminali,
ch’a volte montano in paure e terrori.
noi e loro:
racchiusi in recinti dialettali,
con apposite, separate, pietanze e preghiere e rosari e candele.
noi e loro, distanziati:
nei cud, nei rid, nei bot e cct e nella frequenza
dei test di gravidanza.
noi e loro, divisi, sembriamo un triste fenomeno da baraccone
e ci ammaliamo di vergogna.
noi e loro, uniti e mescolati,
saremo, almeno per un giorno, una novità strabiliante.
ci sarà, tra noi e tra loro, qualcuno
che più degli altri ci prenderà gusto
e pretenderà di replicare la mescolanza unita
ogni santo giorno:
è quello che si chiama “il punto di non ritorno”.
(Paolo Buffoni - Ass. Todo Cambia)
noi e loro: separati da un foglio di carta,
duro e buio come la cattiveria.
noi e loro,
transennati in code incomunicanti
per accedere ai comuni incubi delle questure.
noi e loro,
lacerati da un debito plurisecolare:
loro non lo sanno calcolare,
noi non sappiamo come fare per ripagare!
noi e loro,
intimiditi da timori subliminali,
ch’a volte montano in paure e terrori.
noi e loro:
racchiusi in recinti dialettali,
con apposite, separate, pietanze e preghiere e rosari e candele.
noi e loro, distanziati:
nei cud, nei rid, nei bot e cct e nella frequenza
dei test di gravidanza.
noi e loro, divisi, sembriamo un triste fenomeno da baraccone
e ci ammaliamo di vergogna.
noi e loro, uniti e mescolati,
saremo, almeno per un giorno, una novità strabiliante.
ci sarà, tra noi e tra loro, qualcuno
che più degli altri ci prenderà gusto
e pretenderà di replicare la mescolanza unita
ogni santo giorno:
è quello che si chiama “il punto di non ritorno”.
(Paolo Buffoni - Ass. Todo Cambia)
l'Associazione Bambini in Romania aderisce al Primo Marzo
In AdesioniL'Associazione Bambini in Romania aderisce con entusiasmo all'iniziativa "Primo Marzo: un giorno senza di noi". Dal 1999 BIR propone esperienze di volontariato internazionale in Romania e in Italia, cercando di superare ogni forma di emarginazione, criminalizzazione e discriminazione e contribuire alla creazione di spazi aperti al confronto. L' Associazione si riconosce pienamente nei principi che hanno ispirato questa mobilitazione e guarda positivamente ad occasioni di convergenza tra realtà tanto diverse per perseguire insieme battaglie comuni.
Filippo Boeri
Responsabile Comunicazione Volontari
Associazione Bambini in Romania ONLUS
www.bambiniinromania.it
Filippo Boeri
Responsabile Comunicazione Volontari
Associazione Bambini in Romania ONLUS
www.bambiniinromania.it
I Professori Universitari per il Primo Marzo
Iniziative organizzate dai professori universitari per la giornata del primo marzo:
Università di Cagliari, Per un lavoro decente
Università di Firenze, Immigrazione e diritto
Università di Macerata, Proiezione del documentario Il tempo delle arance
Università di Napoli L'Orientale, La tutela dei diritti umani in Europa
Università di Palermo, Le nuove frontiere interne
Università di Roma Tre, Giornate di studio su razzismo e xenofobia
Università di Urbino, Asilo politico: un salvagente nel mare dell'immigrazione
Università di Verona, Immigrazione, pacchetto "sicurezza" e reato di clandestinità.
Qui potete trovare tutti i dettagli.
I seguenti docenti universitari, molti dei quali già firmatari di una lettera di sostegno per l'iniziativa del primo marzo, hanno deciso di organizzare per questa giornata iniziative seminariali sulla condizione degli stranieri in Italia o dedicare la didattica già prevista istituzionalmente per i loro insegnamenti a questo tema, inquadrandolo dagli specifici punti di vista disciplinari:
Emanuela Abbatecola, Università di Genova
Franca Alacevich, Università di Firenze
Valerie Amiraux, Università Ca' Foscari di Venezia
Alessandra Algostino, Università di Torino
Caterina Arcidiacono, Università Federico II di Napoli
Laura Calafà, Università di Verona
Giuseppe Castaldi, Università di Napoli L'Orientale
Franco Cazzola, Università di Firenze
Iain Chambers, Università di Napoli L'Orientale
Pietro Clemente, Università di Firenze
Laura Corradi, Università della Calabria
Giovanna Covi, Università di Trento
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Francesca De Vittor, Università di Macerata
Maria Cristina Ercolessi, Università di Napoli L'Orientale
Isabel Fanlo Cortés, Università di Genova
Chiara Favilli, Università di Firenze
Nicola Fiorita, Università di Firenze
Alessandra Gribaldo, Università di Modena e Reggio Emilia
Teresa Isenburg, Università di Milano
Gianni Loy, Università di Cagliari
Tecla Mazzarese, Università di Brescia
Anna Maria Medici, Università di Urbino
Maria Grazia Meriggi, Università di Bergamo
Claudius Messner, Università di Lecce
Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino
Cristiana Natali, Università di Milano
Luca Palmas, Università di Genova
Maria Perino, Università del Piemonte Orientale
Paola Persano, Università di Macerata
Antonio Pezzano, Università di Napoli L'Orientale
Fulvio Pezzarossa, Università di Bologna
Federico Rahola, Università di Genova
Carlo Alberto Romano, Università di Brescia
Felice Rossello, Università di Genova
Enrica Salvatori, Università di Pisa
Raffaella Sarti, Università di Urbino
Tatjana Sekulić, Università di Milano Bicocca
Davide Sparti, Università di Siena
Francesco Surdich, Università di Genova
Tiziana Terranova, Università di Napoli L'Orientale
Annalisa Tonarelli, Università di Firenze
Emanuela Trevisan Semi, Università Ca' Foscari di Venezia
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Eugenio Zaniboni, Università di Foggia
Università di Cagliari, Per un lavoro decente
Università di Firenze, Immigrazione e diritto
Università di Macerata, Proiezione del documentario Il tempo delle arance
Università di Napoli L'Orientale, La tutela dei diritti umani in Europa
Università di Palermo, Le nuove frontiere interne
Università di Roma Tre, Giornate di studio su razzismo e xenofobia
Università di Urbino, Asilo politico: un salvagente nel mare dell'immigrazione
Università di Verona, Immigrazione, pacchetto "sicurezza" e reato di clandestinità.
Qui potete trovare tutti i dettagli.
I seguenti docenti universitari, molti dei quali già firmatari di una lettera di sostegno per l'iniziativa del primo marzo, hanno deciso di organizzare per questa giornata iniziative seminariali sulla condizione degli stranieri in Italia o dedicare la didattica già prevista istituzionalmente per i loro insegnamenti a questo tema, inquadrandolo dagli specifici punti di vista disciplinari:
Emanuela Abbatecola, Università di Genova
Franca Alacevich, Università di Firenze
Valerie Amiraux, Università Ca' Foscari di Venezia
Alessandra Algostino, Università di Torino
Caterina Arcidiacono, Università Federico II di Napoli
Laura Calafà, Università di Verona
Giuseppe Castaldi, Università di Napoli L'Orientale
Franco Cazzola, Università di Firenze
Iain Chambers, Università di Napoli L'Orientale
Pietro Clemente, Università di Firenze
Laura Corradi, Università della Calabria
Giovanna Covi, Università di Trento
Pasquale De Muro, Università di Roma Tre
Francesca De Vittor, Università di Macerata
Maria Cristina Ercolessi, Università di Napoli L'Orientale
Isabel Fanlo Cortés, Università di Genova
Chiara Favilli, Università di Firenze
Nicola Fiorita, Università di Firenze
Alessandra Gribaldo, Università di Modena e Reggio Emilia
Teresa Isenburg, Università di Milano
Gianni Loy, Università di Cagliari
Tecla Mazzarese, Università di Brescia
Anna Maria Medici, Università di Urbino
Maria Grazia Meriggi, Università di Bergamo
Claudius Messner, Università di Lecce
Paolo Morozzo della Rocca, Università di Urbino
Cristiana Natali, Università di Milano
Luca Palmas, Università di Genova
Maria Perino, Università del Piemonte Orientale
Paola Persano, Università di Macerata
Antonio Pezzano, Università di Napoli L'Orientale
Fulvio Pezzarossa, Università di Bologna
Federico Rahola, Università di Genova
Carlo Alberto Romano, Università di Brescia
Felice Rossello, Università di Genova
Enrica Salvatori, Università di Pisa
Raffaella Sarti, Università di Urbino
Tatjana Sekulić, Università di Milano Bicocca
Davide Sparti, Università di Siena
Francesco Surdich, Università di Genova
Tiziana Terranova, Università di Napoli L'Orientale
Annalisa Tonarelli, Università di Firenze
Emanuela Trevisan Semi, Università Ca' Foscari di Venezia
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Eugenio Zaniboni, Università di Foggia
La Giunta di Cinisello Balsamo aderisce al Primo Marzo
In AdesioniLa Giunta del Comune di Cinisello Balsamo aderisce a questa manifestazione con la finalità di valorizzare il ruolo e la presenza migrante in Italia, promuovere una nuova cultura della convivenza e dell’integrazione e contrastare ogni forma di razzismo.
Daniela Gasparini, Sindaco di Cinisello Balsamo
Rosetta Riboldi, Assessora Comune di Cinisello Balsamo
Daniela Gasparini, Sindaco di Cinisello Balsamo
Rosetta Riboldi, Assessora Comune di Cinisello Balsamo
adesione luciano muhlbauer
In Adesionivenerdì 26 febbraio 2010
comunicato stampa
SCIOPERO STRANIERI: MUHLBAUER PARTECIPA A INIZIATIVE DI MILANO.
“Un antidoto contro l’idiozia razzista”
Lunedì 1° marzo il Consigliere regionale del Prc e candidato capolista a Milano per la Federazione della Sinistra, Luciano Muhlbauer, parteciperà alle iniziative che si terranno a Milano in occasione dello sciopero degli stranieri, “24h senza di noi”.
In particolare sarà presente ai seguenti appuntamenti: alle 9:30 in piazza della Scala e alle 17:30 in piazza Duomo.
“Lo sciopero degli stranieri del 1° marzo - dichiara Muhlbauer - è un piccolo, ma significativo antidoto contro l’idiozia razzista che sta devastando la coscienza civile nel nostro paese. È una ribellione morale contro i professionisti della paura e dell’odio che purtroppo abbiamo visto all’opera anche in seguito ai fatti di Rosarno e di via Padova.”
“Lo sciopero civile e le mobilitazioni di lunedì - continua il Consigliere regionale - sono una straordinaria occasione per rimettere i piedi per terra, vedendo nell’immigrazione gli uomini e le donne, i lavoratori e le lavoratrici e non, come vorrebbero i De Corato e i Salvini, il nemico da abbattere e il capro espiatorio universale da indicare.”
“Noi ci saremo in quella giornata, né condividiamo lo spirito e l’intento - conclude Muhlbauer -, perché ci indica la possibile strada da percorrere: quella che dice che il futuro si costruisce insieme, bianchi e neri, vecchi e nuovi cittadini, oppure il futuro sarà buio per tutti.”
Milano, 25 febbraio 2010
SCIOPERO STRANIERI: MUHLBAUER PARTECIPA A INIZIATIVE DI MILANO.
“Un antidoto contro l’idiozia razzista”
Lunedì 1° marzo il Consigliere regionale del Prc e candidato capolista a Milano per la Federazione della Sinistra, Luciano Muhlbauer, parteciperà alle iniziative che si terranno a Milano in occasione dello sciopero degli stranieri, “24h senza di noi”.
In particolare sarà presente ai seguenti appuntamenti: alle 9:30 in piazza della Scala e alle 17:30 in piazza Duomo.
“Lo sciopero degli stranieri del 1° marzo - dichiara Muhlbauer - è un piccolo, ma significativo antidoto contro l’idiozia razzista che sta devastando la coscienza civile nel nostro paese. È una ribellione morale contro i professionisti della paura e dell’odio che purtroppo abbiamo visto all’opera anche in seguito ai fatti di Rosarno e di via Padova.”
“Lo sciopero civile e le mobilitazioni di lunedì - continua il Consigliere regionale - sono una straordinaria occasione per rimettere i piedi per terra, vedendo nell’immigrazione gli uomini e le donne, i lavoratori e le lavoratrici e non, come vorrebbero i De Corato e i Salvini, il nemico da abbattere e il capro espiatorio universale da indicare.”
“Noi ci saremo in quella giornata, né condividiamo lo spirito e l’intento - conclude Muhlbauer -, perché ci indica la possibile strada da percorrere: quella che dice che il futuro si costruisce insieme, bianchi e neri, vecchi e nuovi cittadini, oppure il futuro sarà buio per tutti.”
Milano, 25 febbraio 2010
PRC riconferma il suo sostegno
In AdesioniAlla vigilia della giornata di mobilitazione per i diritti delle donne e degli uomini migranti, promossa dal comitato “Primo marzo 2010, una giornata senza di noi” ribadiamo il nostro totale sostegno a tutte le iniziative che si svolgeranno e che coinvolgeranno almeno 60 città italiane.
Saremo nelle diverse piazze e nei diversi territori rispettando appieno l’autonomia dei soggetti promotori e al tempo stesso come parte di un percorso che vede nella giornata del primo marzo una tappa importantissima, tanto più per l’esser parte di una dimensione internazionale.
Il Primo marzo sarà uno spazio pubblico agito da molteplici iniziative, accomunate dalla necessità di dare visibilità e nuova efficacia ad una questione che non riguarda solo i migranti ma i diritti e lo stato della democrazia di tutto il Paese. Sarà una giornata dai contenuti politici nettissimi, ma che intende parlare a quella gran parte della popolazione italiana con cui è necessario aprire una interlocuzione, per interrompere il precipitare in una condizione di razzismo diffuso.
Già dal giorno successivo dovremmo avere la capacità di rafforzare le nuove relazioni che stanno nascendo con chi nella società aspira a realizzare una convivenza basata sul meticciato e sulla parità nell’accesso ai diritti sociali, civili e politici.
Roberta Fantozzi
Segreteria Nazionale PRC-SE
Saremo nelle diverse piazze e nei diversi territori rispettando appieno l’autonomia dei soggetti promotori e al tempo stesso come parte di un percorso che vede nella giornata del primo marzo una tappa importantissima, tanto più per l’esser parte di una dimensione internazionale.
Il Primo marzo sarà uno spazio pubblico agito da molteplici iniziative, accomunate dalla necessità di dare visibilità e nuova efficacia ad una questione che non riguarda solo i migranti ma i diritti e lo stato della democrazia di tutto il Paese. Sarà una giornata dai contenuti politici nettissimi, ma che intende parlare a quella gran parte della popolazione italiana con cui è necessario aprire una interlocuzione, per interrompere il precipitare in una condizione di razzismo diffuso.
Già dal giorno successivo dovremmo avere la capacità di rafforzare le nuove relazioni che stanno nascendo con chi nella società aspira a realizzare una convivenza basata sul meticciato e sulla parità nell’accesso ai diritti sociali, civili e politici.
Roberta Fantozzi
Segreteria Nazionale PRC-SE
Noi e loro*
In Fondo degli scrittorinoi e loro: separati da un foglio di carta,
duro e buio come la cattiveria.
noi e loro,
transennati in code incomunicanti
per accedere ai comuni incubi delle questure.
noi e loro,
lacerati da un debito plurisecolare:
loro non lo sanno calcolare,
noi non sappiamo come fare per ripagare!
noi e loro,
intimiditi da timori subliminali,
ch’a volte montano in paure e terrori.
noi e loro:
racchiusi in recinti dialettali,
con apposite, separate, pietanze e preghiere e rosari e candele.
noi e loro, distanziati:
nei cud, nei rid, nei bot e cct e nella frequenza
dei test di gravidanza.
noi e loro, divisi, sembriamo un triste fenomeno da baraccone
e ci ammaliamo di vergogna.
noi e loro, uniti e mescolati,
saremo, almeno per un giorno, una novità strabiliante.
ci sarà, tra noi e tra loro, qualcuno
che più degli altri ci prenderà gusto
e pretenderà di replicare la mescolanza unita
ogni santo giorno:
è quello che si chiama “il punto di non ritorno”.
* di Paolo Buffoni Damiani, febbraio 2010
duro e buio come la cattiveria.
noi e loro,
transennati in code incomunicanti
per accedere ai comuni incubi delle questure.
noi e loro,
lacerati da un debito plurisecolare:
loro non lo sanno calcolare,
noi non sappiamo come fare per ripagare!
noi e loro,
intimiditi da timori subliminali,
ch’a volte montano in paure e terrori.
noi e loro:
racchiusi in recinti dialettali,
con apposite, separate, pietanze e preghiere e rosari e candele.
noi e loro, distanziati:
nei cud, nei rid, nei bot e cct e nella frequenza
dei test di gravidanza.
noi e loro, divisi, sembriamo un triste fenomeno da baraccone
e ci ammaliamo di vergogna.
noi e loro, uniti e mescolati,
saremo, almeno per un giorno, una novità strabiliante.
ci sarà, tra noi e tra loro, qualcuno
che più degli altri ci prenderà gusto
e pretenderà di replicare la mescolanza unita
ogni santo giorno:
è quello che si chiama “il punto di non ritorno”.
* di Paolo Buffoni Damiani, febbraio 2010
I comuni di Caulonia e Riace aderiscono al Primo Marzo. La Calabria non è solo Rosarno
In AdesioniI comuni di Caulonia e Riace, paesi dell’accoglienza che danno ospitalità ai migranti a prescindere da qualsiasi permesso di soggiorno ma in quanto appartenenti alla comunità umana, si uniscono alla giornata del primo marzo 2010, per rendere visibili gli invisibili e gridare che anche noi ci sentiamo stranieri. Stranieri non tanto dal punto di vista anagrafico, ma perché estranei al clima di razzismo che avvelena l'Italia del presente. Autoctoni e immigrati devono essere uniti nella stessa battaglia di civiltà per affermare i diritti di coloro che diritti non hanno.
Noi che conosciamo i drammi dell’immigrazioni, noi che ci spendiamo quotidianamente per dare una prospettiva di vita ai fratelli e alle sorelle che arrivano da lontano in cerca di una vita migliore, diamo tutto il nostro sostegno alla mobilitazione del primo marzo.
Domenico Lucano -Sindaco di Riace
Ilario Ammendolia- Sindaco di Caulonia
Noi che conosciamo i drammi dell’immigrazioni, noi che ci spendiamo quotidianamente per dare una prospettiva di vita ai fratelli e alle sorelle che arrivano da lontano in cerca di una vita migliore, diamo tutto il nostro sostegno alla mobilitazione del primo marzo.
Domenico Lucano -Sindaco di Riace
Ilario Ammendolia- Sindaco di Caulonia
L'adesione dei Verdi
In AdesioniIl Presidente dei Verdi italiani, Angelo Bonelli, tutta la Federazione Nazionale, la Federazionde dei Verdi del Lazio, aderiscono alla giornata "Primo Marzo 2010 Sciopero degli Stranieri".
L'adesione di Amnesty
In Adesioni"La Sezione Italiana di Amnesty International aderisce allo Sciopero degli stranieri del 1° marzo. Si tratta di un'iniziativa importante per ribadire che i diritti umani devono valere per tutti, altrimenti diritti non sono ma privilegi, e per contrastare la violenza e gli stereotipi nonché il linguaggio di natura discriminatoria e xenofoba, talora anche da parte di rappresentanti delle istituzioni e dei mezzi d'informazione"
Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International
Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International
Milano, 1 marzo: lezioni di lingua in piazza Duomo
Costruiamo in Duomo lezioni di lingue e culture di tutto il mondo dalle 17.00.
- Lezione araba: con scuole di italiano di Cantiere, Fornace, Dimensioni Diverse, Laboratorio di Cologno. Con performance.
- Lezione senegalese: musiche con Maschere Nere, Naga.
- Lezione cinese: Retescuole, Collettivo di Mediazione culturale.
- Lezione hispanica: con scuole di italiano (vedi sopra)
- Lezione Kurda e Turca: Comunità curda, Retescuole
Come tutti sappiamo, il primo marzo 2010 a Milano ci sarà una grande mobilitazione antirazzista. Un giorno da protagonisti, come migranti, precari tra i precari per dire che la crisi non può essere scaricata su chi è più ricattabile, perchè non siamo disposti ad accettare chi disegna per noi un futuro di barbarie e competizione, ma vogliamo costruire una società in cui cooperazione e solidarietà siano al centro delle relazioni.
Ieri il comitato per non dimenticare abba contro il razzismo si è riunito e vuole proporre a tutte le scuole d'italiano di milano e provincia ma anche alle associazioni che quotidianamente lavorano assieme ai migranti, un'iniziativa operativa per il primo di marzo da fare in piazza del duomo dalle 17 alle 19 prima di muoversi per Cairoli.
L'iniziativa consiste nell'organizzare delle lezioni in piazza di lingua. Saranno ezioni tenute da migranti stessi, di lingue diverse (arabo, wolof, curdo, turco, bengali, cinese, ma anche francese, inglese,spagnolo), che siano l'esempio concreto dello scambio di conoscenze e di esperienze, della transculturalità, e della cultura meticcia che vogliamo promuovere.
Invitiamo tutti/e a proporsi per costruire con noi quest'iniziativa, sia dal punto di vista della partecipazione e dell'organizzazione culurale delle lezioni ma anche dal punto di vista logistico.
Vorremmo che la piazza simbolo di Milano per quella sera sia, oltre che zona libera dal razzismo, anche un esempio di quella società transculturale e meticcia che vorremmo diventasse in futuro.
Invitiamo tutti a contattarci e a contribuire all'iniziativa.
Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo.
Leggi l'appello!
- Lezione araba: con scuole di italiano di Cantiere, Fornace, Dimensioni Diverse, Laboratorio di Cologno. Con performance.
- Lezione senegalese: musiche con Maschere Nere, Naga.
- Lezione cinese: Retescuole, Collettivo di Mediazione culturale.
- Lezione hispanica: con scuole di italiano (vedi sopra)
- Lezione Kurda e Turca: Comunità curda, Retescuole
Come tutti sappiamo, il primo marzo 2010 a Milano ci sarà una grande mobilitazione antirazzista. Un giorno da protagonisti, come migranti, precari tra i precari per dire che la crisi non può essere scaricata su chi è più ricattabile, perchè non siamo disposti ad accettare chi disegna per noi un futuro di barbarie e competizione, ma vogliamo costruire una società in cui cooperazione e solidarietà siano al centro delle relazioni.
Ieri il comitato per non dimenticare abba contro il razzismo si è riunito e vuole proporre a tutte le scuole d'italiano di milano e provincia ma anche alle associazioni che quotidianamente lavorano assieme ai migranti, un'iniziativa operativa per il primo di marzo da fare in piazza del duomo dalle 17 alle 19 prima di muoversi per Cairoli.
L'iniziativa consiste nell'organizzare delle lezioni in piazza di lingua. Saranno ezioni tenute da migranti stessi, di lingue diverse (arabo, wolof, curdo, turco, bengali, cinese, ma anche francese, inglese,spagnolo), che siano l'esempio concreto dello scambio di conoscenze e di esperienze, della transculturalità, e della cultura meticcia che vogliamo promuovere.
Invitiamo tutti/e a proporsi per costruire con noi quest'iniziativa, sia dal punto di vista della partecipazione e dell'organizzazione culurale delle lezioni ma anche dal punto di vista logistico.
Vorremmo che la piazza simbolo di Milano per quella sera sia, oltre che zona libera dal razzismo, anche un esempio di quella società transculturale e meticcia che vorremmo diventasse in futuro.
Invitiamo tutti a contattarci e a contribuire all'iniziativa.
Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo.
Leggi l'appello!
Domenica 28 Febbraio, a Milano: ABBA CUP!
Domenica 28 Febbraio 2010 dalle ore 13 in Piazza Selinunte, contro il razzismo e la xenofobia, Abba Cup!
Un torneo di calcio antirazzista dedicato ad Abba in cui rilanciare le mobilitazioni del primo marzo e del sei marzo per costruire solidarietà, cooperazione, rivolta.
Nella quotidianità in cui deliri xenofobi e razzisti presenti nelle nostre città sembrano essere diventati un fenomeno normale, e mentre la fantomatica sicurezza porta a ledere diritti, dignità e libertà di tutti, vogliamo costruire una giornata, un Abba Cup aperta a tutti, senza distinzione di sesso e colore.
E' UN TORNEO DI CALCIO A 5, inizia alle h. 13.00 in piazza Selinunte (MM1 Lotto, bus 49, 16) fino a sera... premio a sorpresa per chi vince il torneo!
Gazebo informativi del Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo, del Comitato degli Abitanti di San Siro contro gli sgomberi, del Coordinamento dei Collettivi Studenteschi, delle scuole di italiano e tante altre realtà "No Mama project" live HipHop con rime antirazziste. Rinfresco di autofinanziamento con assaggi da tutto il mondo!
Un torneo di calcio antirazzista dedicato ad Abba in cui rilanciare le mobilitazioni del primo marzo e del sei marzo per costruire solidarietà, cooperazione, rivolta.
Nella quotidianità in cui deliri xenofobi e razzisti presenti nelle nostre città sembrano essere diventati un fenomeno normale, e mentre la fantomatica sicurezza porta a ledere diritti, dignità e libertà di tutti, vogliamo costruire una giornata, un Abba Cup aperta a tutti, senza distinzione di sesso e colore.
E' UN TORNEO DI CALCIO A 5, inizia alle h. 13.00 in piazza Selinunte (MM1 Lotto, bus 49, 16) fino a sera... premio a sorpresa per chi vince il torneo!
Gazebo informativi del Comitato per non dimenticare Abba e per fermare il razzismo, del Comitato degli Abitanti di San Siro contro gli sgomberi, del Coordinamento dei Collettivi Studenteschi, delle scuole di italiano e tante altre realtà "No Mama project" live HipHop con rime antirazziste. Rinfresco di autofinanziamento con assaggi da tutto il mondo!
La Cisl Veneto contro il Primo Marzo e la risposta di Melting Pot
La lettera della Cisl Veneto contro il Primo Marzo
(pubblicata da Il Mattino di Padova del 24 febbraio 2010)
Se il fenomeno è irreversibile, in questo momento storico abbiamo di fronte a noi una grande sfida e anche una grande opportunità, che comporta uno scatto in avanti, culturale e sociale, per governarlo e gestirlo. Il fenomeno migratorio deve essere visto come une risorsa, una possibilità di crescita culturale, sociale, economica. Nuovi cittadini che portano con sé nuove competenze, nuove idee in un paese che vive una fase di stagnazione. Bisogna però smettere di considerare l’immigrazione un fenomeno da cancellare o bloccare, e capire piuttosto come governarlo e farlo diventare non fonte di tensione, ma di opportunità. L’Italia sta diventando progressivamente un paese multietnico e multiculturale. Non è questione di scelte, è la realtà storica che lo impone. Questi concetti verranno ribaditi anche sabato 27 febbraio, nel corso dell’iniziativa che la Cisl del Veneto ha organizzato in Fiera su fisco, cittadinanza, lavoro e sviluppo. In questi ultimi anni a Padova, la Cisl, sempre sensibile alle tematiche dell’immigrazione, ha gestito con efficacia l’entrata in vigore di leggi come il pacchetto sicurezza o la Bossi-Fini che colpiscono spesso gli immigrati regolarmente soggiornanti sul territorio siglando accordi e promuovendo iniziative a tutela degli stranieri regolari. Ribadiamo l’inutilità dell’introduzione del reato di clandestinità nel pacchetto sicurezza, il pagamento di un contributo che va dagli 80 ai 200 euro per il ritiro del titolo di soggiorno oltre ai 72 euro attuali per il rinnovo, oppure i 200 euro per la richiesta della cittadinanza, il permesso di soggiorno a punti, i vincoli sui matrimoni misti, i test di lingua italiana per chi richiede il permesso per soggiorni di lungo periodo, l’aumento da 2 a 6 mesi nei centri di identificazione e le «ronde». La Cisl di Padova ritiene di fondamentale importanza la tutela dei diritti della persona umana nonostante il colore della pelle o la provenienza. Sappiamo bene che la crisi economica continua a colpire e purtroppo in misura maggiore i cittadini stranieri. Dai dati di Veneto Lavoro, l’incidenza degli stranieri sui flussi di assunzione si è ridotta del 24 per cento. Nel Veneto, da poco meno di 160 mila assunzioni di lavoratori stranieri nei primi nove mesi del 2008 si è passati a poco più di 121 mila nello stesso periodo del 2009. Un dato leggermente inferiore a quello relativo alle assunzioni di lavoratori italiani che, con un -24,5%, sono passate da circa 433 mila a 327 mila. Il peso degli stranieri in questo periodo si è mantenuto attorno al 27% del flusso complessivo di assunzioni. In questa situazione non si può pensare ad uno sciopero esclusivo dei cittadini stranieri, costretti dalla crisi ad interrompere gli studi dei figli e a rispedirli in patria, se non addirittura a cambiare paese. Le conseguenze colpirebbero tutti gli immigrati con mutui e famiglie a carico. Occorre individuare strategie che mettano insieme le persone, che alimentino un clima di pacifica convivenza. Perciò riteniamo inutile aderire ad uno sciopero lanciato tramite Facebook da soggetti che non si sono mai mossi per la tutela dei cittadini stranieri. Gli scioperi indetti durante la campagna elettorale tendono a dividere ulteriormente, ad allontanare la coesione sociale che va coltivata ogni giorno, e non con iniziative che si caratterizzano per la strumentalità politica. Non possiamo accettare che si strumentalizzino gli stranieri a fini elettorali. Pensiamoci bene.
Abdoulaye Laity Fall / segretario confederale Cisl
La risposta di Melting Pot
Padova, Primo Marzo 2010 – Perchè noi ci saremo?
Sabato 20 febbraio ci siamo riuniti insieme ad oltre 200 cittadini stranieri ed italiani provenienti da tutta la Provincia, per dare vita all’ultima assemblea cittadina del Comitato Primo Marzo 2010 di Padova.
La parola d’ordine è stata sciopero, ma non solo quello classico, non solo quello che prevede l’astensione dal lavoro. Perchè in questo paese diamo molto di più del nostro semplice apporto lavorativo, molto di più di ciò che è stabilito dal contratto, molto di più delle ore che ci vengono pagate.
Per questo, di fronte a questa crisi, di fronte a queste leggi ingiuste e discriminatorie come il pacchetto sicurezza ed alla legge Bossi Fini, davanti alle continue divisioni che vengono prodotte in questa società, abbiamo scelto di mobilitarci. Ma non da soli, non solo noi stranieri, perchè sappiamo che insieme, migranti e italiani, precari e disoccupati, di ogni nazionalità e provenienza, siamo il motore di questa società. E’ per questo che abbiamo scelto di NON organizzare uno sciopero dei soli immigrati, ma invece una mobilitazione contro la crisi e la precarietà, per i diritti di tutti e contro il razzismo. Perchè il nostro futuro dipende dalla capacità e dalla possibilità di costruire una società nuova... insieme e per tutti.
C’è chi continua a chiamare il Primo Marzo, “sciopero etnico”, per appiccicare a quella giornata un’ etichetta che non le appartiene. Forse, chi si schiera contro, sta in realtà perdendo una grande occasione. O forse, chi continua a pronunciarsi contro il primo marzo, è semplicemente troppo preoccupato per una giornata che è nata dal basso, che sfugge ai canali della politica ufficiale e che mette quindi in discussione le sue istituzioni, le sue organizzazioni ufficiali.
A Padova la giornata del Primo Marzo sarà uno sciopero dalle ingiustizie quotidiane, nel mondo del lavoro e nella società in generale ed in molti hanno raccolto questa sfida. Tutti stranieri, non tanto dal punto di vista anagrafico, ma perchè estranei al clima di razzismo che avvelena l’Italia del presente.
Lo hanno fatto decine di persone colpite da sfratto dopo aver perso il lavoro, chiedendo insieme (per italiani e stranieri) un intervento del Prefetto per tutta la Provincia, così come i lavoratori di molte cooperative dei trasporti e della logistica, della Bartolini, della Dhl, della Michelin, della Gls, della TNT di Monselice e Limena, che sciopereranno contro i continui cambi di appalto che mettono permanentemente a rischio il loro futuro. Insieme a loro ci saranno i lavoratori della Cps Carraro di Campodarsego, a cui si sono aggiunti i lavoratori della Dab Pumps di Mestrino che, nonostante la contrarietà dei sindacati confederali, hanno conquistato il loro diritto a scioperare e saranno quindi in piazza, così come i lavoratori della Cartotecnica Postumia che, nonostante il rifiuto dei sindacati confederali, hanno scelto di scioperare appoggiandosi all’Associazione Difesa Lavoratori.
Il Primo Marzo saremo quindi per tutta la giornata davanti alla Prefettura di Padova, in Piazza Antenore, dove alle ore 10.00 daremo il via all’evento con le “lezioni di clandestinità”. Alle ore 13 potremo pranzare tutti insieme (cibi dal mondo), mentre per le ore 15.30 attendiamo la risposta del Prefetto sulla richiesta di moratoria degli sfratti. Alle ore 17 ci sarà l’appuntamento principale con il concentramento, ancora sotto la Prefettura di Padova e successivamente in serata, comincerà la carovana verso la zona industriale per lo sciopero dal lavoro, contro lo sfruttamento.
Chi vorrà cogliere l’occasione è ancora in tempo. Noi, dal canto nostro ci saremo, per costruire insieme, da protagonisti, il nostro futuro.
Per il Comitato Primo Marzo 2010 di Padova:
El Asri Mbarek – Ceva, Michelin
El Bachir Ifguiss – Gls, Orizzonte
Belhazia Mohamed – Tnt, Monselice
Onuorah Clement – Tnt, Limena
Marcel Kenfack – Cps Italia, Verniciatura Carraro
Rachidy Mohammed – Cartotegnica Postumia Spa
Malik Mbaye – Dab Pump Spa
Dermoumi Khalid – Rete Anti sfratti
(pubblicata da Il Mattino di Padova del 24 febbraio 2010)
Se il fenomeno è irreversibile, in questo momento storico abbiamo di fronte a noi una grande sfida e anche una grande opportunità, che comporta uno scatto in avanti, culturale e sociale, per governarlo e gestirlo. Il fenomeno migratorio deve essere visto come une risorsa, una possibilità di crescita culturale, sociale, economica. Nuovi cittadini che portano con sé nuove competenze, nuove idee in un paese che vive una fase di stagnazione. Bisogna però smettere di considerare l’immigrazione un fenomeno da cancellare o bloccare, e capire piuttosto come governarlo e farlo diventare non fonte di tensione, ma di opportunità. L’Italia sta diventando progressivamente un paese multietnico e multiculturale. Non è questione di scelte, è la realtà storica che lo impone. Questi concetti verranno ribaditi anche sabato 27 febbraio, nel corso dell’iniziativa che la Cisl del Veneto ha organizzato in Fiera su fisco, cittadinanza, lavoro e sviluppo. In questi ultimi anni a Padova, la Cisl, sempre sensibile alle tematiche dell’immigrazione, ha gestito con efficacia l’entrata in vigore di leggi come il pacchetto sicurezza o la Bossi-Fini che colpiscono spesso gli immigrati regolarmente soggiornanti sul territorio siglando accordi e promuovendo iniziative a tutela degli stranieri regolari. Ribadiamo l’inutilità dell’introduzione del reato di clandestinità nel pacchetto sicurezza, il pagamento di un contributo che va dagli 80 ai 200 euro per il ritiro del titolo di soggiorno oltre ai 72 euro attuali per il rinnovo, oppure i 200 euro per la richiesta della cittadinanza, il permesso di soggiorno a punti, i vincoli sui matrimoni misti, i test di lingua italiana per chi richiede il permesso per soggiorni di lungo periodo, l’aumento da 2 a 6 mesi nei centri di identificazione e le «ronde». La Cisl di Padova ritiene di fondamentale importanza la tutela dei diritti della persona umana nonostante il colore della pelle o la provenienza. Sappiamo bene che la crisi economica continua a colpire e purtroppo in misura maggiore i cittadini stranieri. Dai dati di Veneto Lavoro, l’incidenza degli stranieri sui flussi di assunzione si è ridotta del 24 per cento. Nel Veneto, da poco meno di 160 mila assunzioni di lavoratori stranieri nei primi nove mesi del 2008 si è passati a poco più di 121 mila nello stesso periodo del 2009. Un dato leggermente inferiore a quello relativo alle assunzioni di lavoratori italiani che, con un -24,5%, sono passate da circa 433 mila a 327 mila. Il peso degli stranieri in questo periodo si è mantenuto attorno al 27% del flusso complessivo di assunzioni. In questa situazione non si può pensare ad uno sciopero esclusivo dei cittadini stranieri, costretti dalla crisi ad interrompere gli studi dei figli e a rispedirli in patria, se non addirittura a cambiare paese. Le conseguenze colpirebbero tutti gli immigrati con mutui e famiglie a carico. Occorre individuare strategie che mettano insieme le persone, che alimentino un clima di pacifica convivenza. Perciò riteniamo inutile aderire ad uno sciopero lanciato tramite Facebook da soggetti che non si sono mai mossi per la tutela dei cittadini stranieri. Gli scioperi indetti durante la campagna elettorale tendono a dividere ulteriormente, ad allontanare la coesione sociale che va coltivata ogni giorno, e non con iniziative che si caratterizzano per la strumentalità politica. Non possiamo accettare che si strumentalizzino gli stranieri a fini elettorali. Pensiamoci bene.
Abdoulaye Laity Fall / segretario confederale Cisl
La risposta di Melting Pot
Padova, Primo Marzo 2010 – Perchè noi ci saremo?
Sabato 20 febbraio ci siamo riuniti insieme ad oltre 200 cittadini stranieri ed italiani provenienti da tutta la Provincia, per dare vita all’ultima assemblea cittadina del Comitato Primo Marzo 2010 di Padova.
La parola d’ordine è stata sciopero, ma non solo quello classico, non solo quello che prevede l’astensione dal lavoro. Perchè in questo paese diamo molto di più del nostro semplice apporto lavorativo, molto di più di ciò che è stabilito dal contratto, molto di più delle ore che ci vengono pagate.
Per questo, di fronte a questa crisi, di fronte a queste leggi ingiuste e discriminatorie come il pacchetto sicurezza ed alla legge Bossi Fini, davanti alle continue divisioni che vengono prodotte in questa società, abbiamo scelto di mobilitarci. Ma non da soli, non solo noi stranieri, perchè sappiamo che insieme, migranti e italiani, precari e disoccupati, di ogni nazionalità e provenienza, siamo il motore di questa società. E’ per questo che abbiamo scelto di NON organizzare uno sciopero dei soli immigrati, ma invece una mobilitazione contro la crisi e la precarietà, per i diritti di tutti e contro il razzismo. Perchè il nostro futuro dipende dalla capacità e dalla possibilità di costruire una società nuova... insieme e per tutti.
C’è chi continua a chiamare il Primo Marzo, “sciopero etnico”, per appiccicare a quella giornata un’ etichetta che non le appartiene. Forse, chi si schiera contro, sta in realtà perdendo una grande occasione. O forse, chi continua a pronunciarsi contro il primo marzo, è semplicemente troppo preoccupato per una giornata che è nata dal basso, che sfugge ai canali della politica ufficiale e che mette quindi in discussione le sue istituzioni, le sue organizzazioni ufficiali.
A Padova la giornata del Primo Marzo sarà uno sciopero dalle ingiustizie quotidiane, nel mondo del lavoro e nella società in generale ed in molti hanno raccolto questa sfida. Tutti stranieri, non tanto dal punto di vista anagrafico, ma perchè estranei al clima di razzismo che avvelena l’Italia del presente.
Lo hanno fatto decine di persone colpite da sfratto dopo aver perso il lavoro, chiedendo insieme (per italiani e stranieri) un intervento del Prefetto per tutta la Provincia, così come i lavoratori di molte cooperative dei trasporti e della logistica, della Bartolini, della Dhl, della Michelin, della Gls, della TNT di Monselice e Limena, che sciopereranno contro i continui cambi di appalto che mettono permanentemente a rischio il loro futuro. Insieme a loro ci saranno i lavoratori della Cps Carraro di Campodarsego, a cui si sono aggiunti i lavoratori della Dab Pumps di Mestrino che, nonostante la contrarietà dei sindacati confederali, hanno conquistato il loro diritto a scioperare e saranno quindi in piazza, così come i lavoratori della Cartotecnica Postumia che, nonostante il rifiuto dei sindacati confederali, hanno scelto di scioperare appoggiandosi all’Associazione Difesa Lavoratori.
Il Primo Marzo saremo quindi per tutta la giornata davanti alla Prefettura di Padova, in Piazza Antenore, dove alle ore 10.00 daremo il via all’evento con le “lezioni di clandestinità”. Alle ore 13 potremo pranzare tutti insieme (cibi dal mondo), mentre per le ore 15.30 attendiamo la risposta del Prefetto sulla richiesta di moratoria degli sfratti. Alle ore 17 ci sarà l’appuntamento principale con il concentramento, ancora sotto la Prefettura di Padova e successivamente in serata, comincerà la carovana verso la zona industriale per lo sciopero dal lavoro, contro lo sfruttamento.
Chi vorrà cogliere l’occasione è ancora in tempo. Noi, dal canto nostro ci saremo, per costruire insieme, da protagonisti, il nostro futuro.
Per il Comitato Primo Marzo 2010 di Padova:
El Asri Mbarek – Ceva, Michelin
El Bachir Ifguiss – Gls, Orizzonte
Belhazia Mohamed – Tnt, Monselice
Onuorah Clement – Tnt, Limena
Marcel Kenfack – Cps Italia, Verniciatura Carraro
Rachidy Mohammed – Cartotegnica Postumia Spa
Malik Mbaye – Dab Pump Spa
Dermoumi Khalid – Rete Anti sfratti
Niente medico per gli immigrati in Lombardia
giovedì 25 febbraio 2010
Mi è appena arrivato un comunicato della CGIL di Milano:
Premetto che già il governo nazionale con la norma "denuncia il clandestino in ospedale" aveva iniziato ad attentare alla salute pubblica spingendo lontano dalla cure mediche una parte della popolazione creando anche rischi per la salute di tutti, vedi il caso tubercolosi di qualche mese fa. Ora, sugli "extracomunitari" con permesso di soggiorno scaduto possiamo discutere, ma la cosa assurda è per quelli in fase di rinnovo.
Per i non avvezzi alla materia, per rinnovare un permesso di soggiorno si deve andare in posta un mesetto prima della scadenza del permesso, compilare un paccone di documenti e spedirli. Un addetto delle poste, prima della chiusura della busta controlla che ci siano tutti i documenti, compreso il contratto di lavoro. Se si è fortunati dopo 7-8 mesi si viene avvisati che il proprio permesso è disponibile in questura. In tutto questo periodo fa fede la ricevuta rilasciata dalla posta.
Chi è in attesa di rinnovo è una persona REGOLARMENTE in Italia, che lavora REGOLARMENTE, e paga le tasse REGOLARMENTE. Evidentemente però non può ammalarsi per 7-8 mesi, secondo la Regione Lombardia. Potrà farlo nei restanti 4-5 mesi prima di dover nuovamente rinnovare il permesso di soggiorno.
E questo vale anche per i loro figli. Meno fortunati i figli degli immigati irregolari, loro non possono ammalarsi mai, poichè i pediatri non sono rimborsati dalla Regione per il tempo che dedicano loro.
Alla faccia della Costituzione, ecco una bella misura anti-crisi Made in Formigoni.
(Roberto Codazzi via KudaBlog)
E' odioso e inqualificabile quanto messo in atto dall'Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e dall'Asl Milano. Si chiede ai medici di famiglia e ai pediatri di restituire i compensi incassati per visite agli "extracomunitari" con permesso soggiorno scaduto o in fase di rinnovo.
Premetto che già il governo nazionale con la norma "denuncia il clandestino in ospedale" aveva iniziato ad attentare alla salute pubblica spingendo lontano dalla cure mediche una parte della popolazione creando anche rischi per la salute di tutti, vedi il caso tubercolosi di qualche mese fa. Ora, sugli "extracomunitari" con permesso di soggiorno scaduto possiamo discutere, ma la cosa assurda è per quelli in fase di rinnovo.
Per i non avvezzi alla materia, per rinnovare un permesso di soggiorno si deve andare in posta un mesetto prima della scadenza del permesso, compilare un paccone di documenti e spedirli. Un addetto delle poste, prima della chiusura della busta controlla che ci siano tutti i documenti, compreso il contratto di lavoro. Se si è fortunati dopo 7-8 mesi si viene avvisati che il proprio permesso è disponibile in questura. In tutto questo periodo fa fede la ricevuta rilasciata dalla posta.
Chi è in attesa di rinnovo è una persona REGOLARMENTE in Italia, che lavora REGOLARMENTE, e paga le tasse REGOLARMENTE. Evidentemente però non può ammalarsi per 7-8 mesi, secondo la Regione Lombardia. Potrà farlo nei restanti 4-5 mesi prima di dover nuovamente rinnovare il permesso di soggiorno.
E questo vale anche per i loro figli. Meno fortunati i figli degli immigati irregolari, loro non possono ammalarsi mai, poichè i pediatri non sono rimborsati dalla Regione per il tempo che dedicano loro.
Alla faccia della Costituzione, ecco una bella misura anti-crisi Made in Formigoni.
(Roberto Codazzi via KudaBlog)
L'adesione e il contributo di Legambiente
In Adesioni“Primo marzo - Un giorno senza di noi”
Un’adesione che va oltre il semplice comunicato di sostegno. Un’adesione attiva che parte da quello che siamo e da ciò che possiamo mettere in campo per questa importante iniziativa.
I drammatici fatti di Rosarno sono soltanto l’ultimo visibile evento che mette a nudo i limiti delle politiche sull’immigrazione portate avanti dai governi di centro-destra come di centro-sinistra. I respingimenti in mare, i numerosi scandali sulla gestione dei “centri di accoglienza”, la cultura razzista che si sta diffondendo, le file notturne per il rinnovo dei permessi di soggiorno, il naufragio di una politica di integrazione vera e di rilancio di servizi per fornire strumenti efficaci ai migranti per non essere preda della malavita organizzata: sono fenomeni di stringente attualità che quotidianamente ci indignano, situazioni odiose che ci allontanano sempre di più dalla nostra idea di essere italiani, e che rendono sempre più difficile a tutti quei migranti che Vogliono bene all’Italia di dimostrarlo insieme a noi “autoctoni”.
Saranno oltre 600 le classi per l’ambiente impegnate dal nord al sud d’Italia in dibattiti e incontri dedicati ai temi delle migrazioni e dell’integrazione, appuntamenti fondamentali di preparazione al primo marzo e alla miriade di attività che saranno realizzate in tutto il Paese.
Domenica 28 febbraio nelle città a più alto impatto migratorio i circoli di Legambiente si troveranno insieme alle comunità di migranti per rimboccarsi le maniche in concreti momenti di volontariato ambientale. Una sorta di “Puliamo il Mondo” per dare un messaggio importante: i migranti sono indispensabili all’Italia per i lavori che svolgono, ma soprattutto perché sono un pezzo sano della nostra società. Da Milano a Verona, da Napoli a Trento sarà un’occasione anche per pianificare insieme una collaborazione da mettere in campo durante tutto l’anno nelle piccole e grandi campagne associative.
Lunedì primo marzo a Roma volontari di Legambiente insieme a rifugiati politici afgani, eritrei, curdi, togolesi ed ivoriani saranno impegnati per ripulire il Parco di Colle Oppio dai rifiuti e dal degrado. Un’azione simbolica ma concreta per migliorare la città, perché insieme, italiani e stranieri, siamo la parte migliore di questo Paese. Una mattinata di volontariato, ma anche di amicizia e di festa, cui parteciperanno anche gli alunni di numerose scuole della capitale, con incontri e momenti di animazione, prendendo insieme un caffè eritreo o un the afgano nel Parco.
Info www.legambiente.eu - e s.andreotti@legambiente.it
Un’adesione che va oltre il semplice comunicato di sostegno. Un’adesione attiva che parte da quello che siamo e da ciò che possiamo mettere in campo per questa importante iniziativa.
I drammatici fatti di Rosarno sono soltanto l’ultimo visibile evento che mette a nudo i limiti delle politiche sull’immigrazione portate avanti dai governi di centro-destra come di centro-sinistra. I respingimenti in mare, i numerosi scandali sulla gestione dei “centri di accoglienza”, la cultura razzista che si sta diffondendo, le file notturne per il rinnovo dei permessi di soggiorno, il naufragio di una politica di integrazione vera e di rilancio di servizi per fornire strumenti efficaci ai migranti per non essere preda della malavita organizzata: sono fenomeni di stringente attualità che quotidianamente ci indignano, situazioni odiose che ci allontanano sempre di più dalla nostra idea di essere italiani, e che rendono sempre più difficile a tutti quei migranti che Vogliono bene all’Italia di dimostrarlo insieme a noi “autoctoni”.
Saranno oltre 600 le classi per l’ambiente impegnate dal nord al sud d’Italia in dibattiti e incontri dedicati ai temi delle migrazioni e dell’integrazione, appuntamenti fondamentali di preparazione al primo marzo e alla miriade di attività che saranno realizzate in tutto il Paese.
Domenica 28 febbraio nelle città a più alto impatto migratorio i circoli di Legambiente si troveranno insieme alle comunità di migranti per rimboccarsi le maniche in concreti momenti di volontariato ambientale. Una sorta di “Puliamo il Mondo” per dare un messaggio importante: i migranti sono indispensabili all’Italia per i lavori che svolgono, ma soprattutto perché sono un pezzo sano della nostra società. Da Milano a Verona, da Napoli a Trento sarà un’occasione anche per pianificare insieme una collaborazione da mettere in campo durante tutto l’anno nelle piccole e grandi campagne associative.
Lunedì primo marzo a Roma volontari di Legambiente insieme a rifugiati politici afgani, eritrei, curdi, togolesi ed ivoriani saranno impegnati per ripulire il Parco di Colle Oppio dai rifiuti e dal degrado. Un’azione simbolica ma concreta per migliorare la città, perché insieme, italiani e stranieri, siamo la parte migliore di questo Paese. Una mattinata di volontariato, ma anche di amicizia e di festa, cui parteciperanno anche gli alunni di numerose scuole della capitale, con incontri e momenti di animazione, prendendo insieme un caffè eritreo o un the afgano nel Parco.
Info www.legambiente.eu - e s.andreotti@legambiente.it
Unione degli Studenti per il Primo Marzo
In Adesionimercoledì 24 febbraio 2010
UdS - Unione degli Studenti e Link Coordinamento Universitario promuovono fortemente l'iniziativa "Primo Marzo: un giorno senza di noi", non solo per puntare permanentemente un faro sulla politiche e gli episodi di razzismo, ma anche con l'obiettivo di dimostare definitivamente l'insostituibile contributo all'economia della popolazione migrante anche in un periodo di fortissima crisi economica.
A fronte di una politica sul fenomeno migratorio che continua a considerarlo un problema piuttosto che porsi nell'ottica dell'immigrazione come risorsa non solo economica, ma anche culturale e sociale.
Di una società caratterizzata dai permessi di soggiorno a punti, dai Centri di identificazione ed espulsione, dagli accordi economici che trasformano le persone in prodotti di mercati, è necessario costruire una società aperta e tollerante.
Di una scuola pubblica che si riconosce nelle classi ponte, nei presidi spia, nei tetti sugli studenti immigrati del 30%, ma che vuole e deve essere una scuola dell'integrazione, dell'accoglienza e della costruzione reale della nostra comunità.
Ne abbiamo avuto abbastanza di tutti i provvedimenti, gli opinionismi, i meccanismi vergognosi attuati con l'obiettivo di marchiare e criminalizzare chi viene considerato "immigrato (clandestino)".
Vogliamo riappropriarci e riabilitare questo termine, diventato peggiorativo a causa della strumentalizzazione di chi attua il governo della paura e dell'incertezza.
A fronte di una politica sul fenomeno migratorio che continua a considerarlo un problema piuttosto che porsi nell'ottica dell'immigrazione come risorsa non solo economica, ma anche culturale e sociale.
Di una società caratterizzata dai permessi di soggiorno a punti, dai Centri di identificazione ed espulsione, dagli accordi economici che trasformano le persone in prodotti di mercati, è necessario costruire una società aperta e tollerante.
Di una scuola pubblica che si riconosce nelle classi ponte, nei presidi spia, nei tetti sugli studenti immigrati del 30%, ma che vuole e deve essere una scuola dell'integrazione, dell'accoglienza e della costruzione reale della nostra comunità.
Ne abbiamo avuto abbastanza di tutti i provvedimenti, gli opinionismi, i meccanismi vergognosi attuati con l'obiettivo di marchiare e criminalizzare chi viene considerato "immigrato (clandestino)".
Vogliamo riappropriarci e riabilitare questo termine, diventato peggiorativo a causa della strumentalizzazione di chi attua il governo della paura e dell'incertezza.
E' arrivato il numero giallo
In Numero GialloGli amici della «Banda» larga hanno predisposto il Numero Giallo, un servizio di sms per raccogliere le adesioni alla giornata del Primo Marzo 2010. Il numero è
320.2043514
Mandate il vostro messaggio, indicando nome e città di provenienza (italiana e, nel caso, straniera) ed una breve frase con le ragioni della vostra adesione.
I messaggi saranno pubblicati qui e saranno letti nel corso delle manifestazioni che si svolgeranno il Primo Marzo.
Chi può, diffonda il numero giallo sul web e lo pubblichi ovunque!
Mandate il vostro messaggio, indicando nome e città di provenienza (italiana e, nel caso, straniera) ed una breve frase con le ragioni della vostra adesione.
I messaggi saranno pubblicati qui e saranno letti nel corso delle manifestazioni che si svolgeranno il Primo Marzo.
Chi può, diffonda il numero giallo sul web e lo pubblichi ovunque!
Arci Servizio Civile aderisce al Primo Marzo
La promozione della pace (obiettivo della difesa nonviolenza) passa anche attraverso la giustizia sociale. La lotta allo sfruttamento di cui sono oggetti in modo particolare molti immigrati richiede l'impegnodei giovani italiani che fanno il servizio civile.L'educazione alla legalità è parte integrante della educazione alla pace. Così come vanno combattute le organizzazioni criminali, vanno fatte politiche delle istituzioni e delle organizzazioni sociali che sia effettiva testimonianza di legalità, imparzialità, efficacia. Per questo la lotta per l'inclusione che motiva le iniziative del 1 marzo riguarda i giovani del SCN.
Gli stereotipi razzisti sono potenti, soprattutto quando trovano agenti moltiplicatori in persone delle istituzioni nazionali, regionali, locali. I giovani del servizio civile non vivono sulla luna. Ne sono coinvolti e solo attraverso il lavoro insieme e la conoscenza reciproca sarà possibile bloccare il razzismo.
Infine per chi crede che promozione della pace sia un obiettivo che riguarda tutti i residenti in una comunità, è conseguente pensare che ai progetti di SCN debbano partecipare anche i cittadini stranieri, a cominciare dagli immigrati che scelgono di vivere nel nostro Paese.
Per questo ASC (Arci Servizio Civile www.arciserviziocivile.it)aderisce al Primo marzo!
Gli stereotipi razzisti sono potenti, soprattutto quando trovano agenti moltiplicatori in persone delle istituzioni nazionali, regionali, locali. I giovani del servizio civile non vivono sulla luna. Ne sono coinvolti e solo attraverso il lavoro insieme e la conoscenza reciproca sarà possibile bloccare il razzismo.
Infine per chi crede che promozione della pace sia un obiettivo che riguarda tutti i residenti in una comunità, è conseguente pensare che ai progetti di SCN debbano partecipare anche i cittadini stranieri, a cominciare dagli immigrati che scelgono di vivere nel nostro Paese.
Per questo ASC (Arci Servizio Civile www.arciserviziocivile.it)aderisce al Primo marzo!
Il cane arrivato da un Sogno*
In Fondo degli scrittoriIl sole stava tramontando e si celebrava l’ultima cerimonia del giorno. Tutte cantavano insieme, tranne Modani che era da sola nel piano di sotto. Dalla piccola stanzetta appartata riusciva a sentire soltanto il suono acuto dei cembali e qualche tocco dei tamburi. Quando si avevano le mestruazioni non si poteva girare nel tempio, ne toccare i fiori, ne cucinare per altri, ne prendere tra le mani i libri sacri, ne parlare a nessuno. Si alzò dalla stuoia su cui era distesa e uscì dalla stanzetta. L’ assorbente era scomodo e la faceva camminare impacciatamene. Modani attraversò un corridoio buio, passò davanti alla lavanderia e raggiunse un piccolo bagno trascurato, c’era la tazza senza ciambella e un catino di metallo per terra pieno di acqua su cui galleggiava una vecchia scodellina di peltro. Quando si era mestruata bisognava lavarsi più volte al giorno, e Modani prese dell’acqua con la scodellina, e si lavò velocemente, provando disgusto verso il suo corpo. Prima di rientrare nella stanzetta si fermò per qualche minuto davanti alla porta; da lì ascoltava meglio i canti, e anche lei cantò a bassa voce seguendo i riti della celebrazione.
Seduta su quella vecchia stuoia di fibre di cocco, Modani si guardava i piedi distrattamente e pensava che tra due o tre giorni avrebbe finito il suo isolamento. Avrebbe potuto inginocchiarsi di nuovo nel salone delle cerimonie, tornare ai suoi doveri nelle cucine e dormire insieme alle altre monache. Ciò nonostante era triste, perché Subadra, la sua nipote di cinque anni non era più con lei. La madre di Subadra era molto povera, lavorava in una fabbrica d’incenso, e tutte le mattine, prima di andare al lavoro, portava la sua figlioletta da Modani. Modani prendeva in braccio Subadra e le dava del latte addolcito con del miele e un po’ di frutta, dopo la bambina si sedeva per terra in un angolo della cucina. Quando aveva pochi mesi, Modani la coricava in una grossa cesta, là dentro la bambina aveva imparato da sola a sedersi e a mettersi in piedi. Sempre aspettava in quel angolino che Modani finisse i mestieri, per essere accudita e coccolata. A pranzo mangiavano una minestrina di legumi e dello yogurt, poi la bambina riposava mentre Modani recitava le sue preghiere. Verso sera le faceva il bagno e la profumava con olio di sandalo. Tutte le monache erano abituate a vederle sempre insieme.
Ma tutto era ormai finito. Due anni fa il fratello di Modani, era emigrato a Natam, in quel paese aveva trovato lavoro in un’azienda casearia e adesso portava a vivere con se sua moglie e la sua figlia. Quando Subadra era molto piccola, la sua pelle odorava di riso dolce, il profumo del latte materno e i suoi primi capelli erano morbidi e scuri, Modani conservava con cura un piccolo ciuffo di quei capelli. La bambina che lei tanto adorava la avrebbe dimenticata, si, perché a Natam Subadra avrebbe imparato un’altra lingua, e poi sarebbe andata a scuola e conosciuto tanti bambini. Modani sapeva di molte persone che erano vissute a Natam e che al loro ritorno somigliavano ad alberi secchi, senza più un’anima. L’espressione dei loro volti diventava dura come se avessero dovuto camminare su punte di coltelli. Anche il loro modo di ridere cambiava. Qualcosa che somigliava alle ceneri dell’incenso bruciato, appannava i loro gesti. Modani aveva paura per Subadra. Si chiedeva cosa mai poteva esserci a Natam che abbatteva così le persone. Si addormentò piangendo, e sognò un cane bianco e magro, dagli occhi tristi e umiliati, con la coda stretta tra le zampe. Portava un collare di cuoio rosso che pulsava come un cuore con due lunghe corde legate, una stringeva Modani dalla vita, e l’altra … lei né era sicura che quell’altra corda stringesse Subadra, che arrivava fin dove si trovava la bambina. Voleva uscire dalla stanza seguendo quella corda per raggiungere Subadra, ma notò che delle morbide onde di un’acqua tiepida ma sporca entravano sotto la porta bagnandole i piedi.
“Ferma l’acqua” le ordinò il cane; ma Modani non pensava ad altro che a rivedere la bambina e così prese l’altra corda del cane per uscire dalla stanzetta.
“Ferma l’acqua!” le ordinò il cane per la seconda volta, Modani sapeva che non doveva aprire la porta; se lo faceva tutta quell’acqua sudicia e portatrice di sventure sarebbe entrata nella stanza e da lì avrebbe raggiunto il tempio, ma niente le importava e nel momento in cui girò la maniglia della porta e tutta l’acqua la investi trascinandola per terra, si svegliò sentendosi colare un denso sudore lungo il viso. Aprì gli occhi e le parve di vedere il cane acciambellato accanto a lei. Chiuse gli occhi, sapeva che il cane era l’amore che provava per Subadra e la paura che a Natam il sorriso della bambina potesse divenire cupo. Aprì di nuovo gli occhi. Il cane era sparito. Una monaca le portò del tè e due fette di pane con burro e miele; e mentre mangiava, ricordò un piccolo ciondolino d’ambra a forma di goccia che una volta aveva regalato a Subadra. L’ambra serviva a proteggerla dagli spiriti maligni, da quelli che hanno sempre vagato per l’aria tentando di impossessarsi dei corpi dei bambini; spiriti desiderosi di far ritorno nel mondo materiale, affamati di un corpo, vogliosi ancora dei piaceri carnali. Modani temeva che a Natam ci fossero molti di quelli spiriti; meno male che Subadra portava sempre quel ciondolo al collo.
Passati due giorni Modani lasciò la stanzetta del suo ritiro. Le monache raccontano che dopo la partenza di Subadra, Modani non parlò più con nessuna di loro. Finiti i lavori in cucina, passava il resto del giorno pregando in disparte. Soffriva di sogni agitati e molte volte si svegliava nel mezzo della notte piangendo, come in preda ad un forte dolore. Qualcuno ha detto che deambulava con i piedi bagnati d’acqua sporca, e di avere visto insieme a lei un cane bianco, magro e dagli occhi tristi che la inseguiva dappertutto.
*di Aurora Filiberto Hernàndez
Seduta su quella vecchia stuoia di fibre di cocco, Modani si guardava i piedi distrattamente e pensava che tra due o tre giorni avrebbe finito il suo isolamento. Avrebbe potuto inginocchiarsi di nuovo nel salone delle cerimonie, tornare ai suoi doveri nelle cucine e dormire insieme alle altre monache. Ciò nonostante era triste, perché Subadra, la sua nipote di cinque anni non era più con lei. La madre di Subadra era molto povera, lavorava in una fabbrica d’incenso, e tutte le mattine, prima di andare al lavoro, portava la sua figlioletta da Modani. Modani prendeva in braccio Subadra e le dava del latte addolcito con del miele e un po’ di frutta, dopo la bambina si sedeva per terra in un angolo della cucina. Quando aveva pochi mesi, Modani la coricava in una grossa cesta, là dentro la bambina aveva imparato da sola a sedersi e a mettersi in piedi. Sempre aspettava in quel angolino che Modani finisse i mestieri, per essere accudita e coccolata. A pranzo mangiavano una minestrina di legumi e dello yogurt, poi la bambina riposava mentre Modani recitava le sue preghiere. Verso sera le faceva il bagno e la profumava con olio di sandalo. Tutte le monache erano abituate a vederle sempre insieme.
Ma tutto era ormai finito. Due anni fa il fratello di Modani, era emigrato a Natam, in quel paese aveva trovato lavoro in un’azienda casearia e adesso portava a vivere con se sua moglie e la sua figlia. Quando Subadra era molto piccola, la sua pelle odorava di riso dolce, il profumo del latte materno e i suoi primi capelli erano morbidi e scuri, Modani conservava con cura un piccolo ciuffo di quei capelli. La bambina che lei tanto adorava la avrebbe dimenticata, si, perché a Natam Subadra avrebbe imparato un’altra lingua, e poi sarebbe andata a scuola e conosciuto tanti bambini. Modani sapeva di molte persone che erano vissute a Natam e che al loro ritorno somigliavano ad alberi secchi, senza più un’anima. L’espressione dei loro volti diventava dura come se avessero dovuto camminare su punte di coltelli. Anche il loro modo di ridere cambiava. Qualcosa che somigliava alle ceneri dell’incenso bruciato, appannava i loro gesti. Modani aveva paura per Subadra. Si chiedeva cosa mai poteva esserci a Natam che abbatteva così le persone. Si addormentò piangendo, e sognò un cane bianco e magro, dagli occhi tristi e umiliati, con la coda stretta tra le zampe. Portava un collare di cuoio rosso che pulsava come un cuore con due lunghe corde legate, una stringeva Modani dalla vita, e l’altra … lei né era sicura che quell’altra corda stringesse Subadra, che arrivava fin dove si trovava la bambina. Voleva uscire dalla stanza seguendo quella corda per raggiungere Subadra, ma notò che delle morbide onde di un’acqua tiepida ma sporca entravano sotto la porta bagnandole i piedi.
“Ferma l’acqua” le ordinò il cane; ma Modani non pensava ad altro che a rivedere la bambina e così prese l’altra corda del cane per uscire dalla stanzetta.
“Ferma l’acqua!” le ordinò il cane per la seconda volta, Modani sapeva che non doveva aprire la porta; se lo faceva tutta quell’acqua sudicia e portatrice di sventure sarebbe entrata nella stanza e da lì avrebbe raggiunto il tempio, ma niente le importava e nel momento in cui girò la maniglia della porta e tutta l’acqua la investi trascinandola per terra, si svegliò sentendosi colare un denso sudore lungo il viso. Aprì gli occhi e le parve di vedere il cane acciambellato accanto a lei. Chiuse gli occhi, sapeva che il cane era l’amore che provava per Subadra e la paura che a Natam il sorriso della bambina potesse divenire cupo. Aprì di nuovo gli occhi. Il cane era sparito. Una monaca le portò del tè e due fette di pane con burro e miele; e mentre mangiava, ricordò un piccolo ciondolino d’ambra a forma di goccia che una volta aveva regalato a Subadra. L’ambra serviva a proteggerla dagli spiriti maligni, da quelli che hanno sempre vagato per l’aria tentando di impossessarsi dei corpi dei bambini; spiriti desiderosi di far ritorno nel mondo materiale, affamati di un corpo, vogliosi ancora dei piaceri carnali. Modani temeva che a Natam ci fossero molti di quelli spiriti; meno male che Subadra portava sempre quel ciondolo al collo.
Passati due giorni Modani lasciò la stanzetta del suo ritiro. Le monache raccontano che dopo la partenza di Subadra, Modani non parlò più con nessuna di loro. Finiti i lavori in cucina, passava il resto del giorno pregando in disparte. Soffriva di sogni agitati e molte volte si svegliava nel mezzo della notte piangendo, come in preda ad un forte dolore. Qualcuno ha detto che deambulava con i piedi bagnati d’acqua sporca, e di avere visto insieme a lei un cane bianco, magro e dagli occhi tristi che la inseguiva dappertutto.
*di Aurora Filiberto Hernàndez
Al pronto soccorso. Da clandestino.
martedì 23 febbraio 2010
Immigrati con fratture che, dopo il gesso, faticano a trovare una struttura che lo rimuova. Ferite suturate con punti che non vengono rimossi. Questa è la realtà che affrontano immigrati irregolari che secondo la legge hanno diritto alle cure essenziali, ma non ad altro. Allora, il gesso te lo metto ma non lo tolgo. Al loro fianco, associazioni di volontari che fanno andare avanti la “carretta” dell’assistenza agli ultimi.
Il Sole-24 Ore fa un interessante viaggio nella multiforme applicazione del diritto del “clandestino” alle cure mediche. Anche la burocrazia può essere mezzo di discriminazione. Se non sai la lingua e se magari non conosci i tuoi diritti, può succedere che il diritto alle cure sancito da una legge, il Dl 286/98, diventi una chimera. Rimbalzato da un ospedale che concede le cure ad uno che invece non lo fa, da una Regione che applica ad una che “forse” applica.
Se poi trovi un medico come il Senatore Rizzi da Besozzo che ti vuole denunciare perché irregolare sono cavoli.
La razionalità della legge lascia il posto al caos dell’arcipelago italiano.
Tutto questo, quando il Censis pubblica un’indagine secondo la quale l’80% degli italiani vuole che il sistema sanitario nazionale curi anche gli immigrati irregolari. Evviva.
(http://andreacivati.ilcannocchiale.it)
Il Sole-24 Ore fa un interessante viaggio nella multiforme applicazione del diritto del “clandestino” alle cure mediche. Anche la burocrazia può essere mezzo di discriminazione. Se non sai la lingua e se magari non conosci i tuoi diritti, può succedere che il diritto alle cure sancito da una legge, il Dl 286/98, diventi una chimera. Rimbalzato da un ospedale che concede le cure ad uno che invece non lo fa, da una Regione che applica ad una che “forse” applica.
Se poi trovi un medico come il Senatore Rizzi da Besozzo che ti vuole denunciare perché irregolare sono cavoli.
La razionalità della legge lascia il posto al caos dell’arcipelago italiano.
Tutto questo, quando il Censis pubblica un’indagine secondo la quale l’80% degli italiani vuole che il sistema sanitario nazionale curi anche gli immigrati irregolari. Evviva.
(http://andreacivati.ilcannocchiale.it)
Il Partito democratico in sostegno del Primo Marzo
In Adesionilunedì 22 febbraio 2010
“L'art. 1 della Costituzione Italiana recita: "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo...".
Ebbene una parte di questo popolo, circa il 7%, lavora e contribuisce al PIL del 10% ma nella stragrande maggioranza non ha cittadinanza italiana. Gli immigrati con permesso di soggiorno regolarmente occupati in Lombardia sono il 15,7% del totale dei lavoratori lombardi. Se qualcuno di loro, dopo 9 anni e 11 mesi di lavoro, lo perde e con esso il conseguente permesso di soggiorno, ripiomba suo malgrado nella clandestinità e cioè diventa una persona penalmente perseguibile. Nella maggioranza dei casi il nostro neo-clandestino ha messo su famiglia e magari anche acceso un mutuo. Oggi a Milano 1 residente su 7 è immigrato e 1 minore su 4 è figlio di immigrati. Il numero di imprese con titolare straniero in Italia è triplicata negli ultimi 4 anni. La regione Lombardia con il 23% del totale nazionale è la regione con il maggior numero di titolari d'impresa immigrati. In tutti questi dati non sono ovviamente contemplati i lavoratori "clandestini" che in molti casi sono forzatamente mantenuti tali da chi vuole solo la loro prestazione di lavoro, non considerandoli neppure persone. Usare lo strumento dello sciopero per questi lavoratori significa innanzitutto ricordare a noi tutti la non applicazione dell'artico 1 della Costituzione italiana sulla quale si fonda l'identità del nostro Stato e della nostra democrazia repubblicana.”
Così Ornella Bergadano, responsabile Forum immigrazione PD Lombardia e membro del Forum nazionale, fa seguito alle prime parole di adesione del Pd.
Il Pd si è impegnato a sollecitare la partecipazione dei suoi iscritti ed elettori (anche all’estero) alle diverse iniziative in programma il 1 marzo:
“è emersa una condivisione degli obiettivi e, soprattutto, la volontà di promuovere una partecipazione dal basso e dai territori, coinvolgendo direttamente gli immigrati per promuovere una nuova cultura della convivenza e dell’integrazione”ha commentato Livia Turco, presidente del Forum Immigrazione del Partito democratico, lo scorso venerdì.
E ancora:
- il Pd milanese con il Segretario provinciale Roberto Cornelli:
“Vanno tutelate libertà, dignità e diritti di chi vive e lavora in Italia, di qualunque nazionalità sia”. “Solo un giorno di stop da parte dei lavoratori immigrati può mettere a dura prova la nostra economia. E' impossibile pensare a un’Italia senza immigrati.”
- i Giovani democratici lombardi con il Segretario Silvia Gadda:
“I Giovani Democratici lombardi aderiscono allo sciopero dei lavoratori stranieri indetto in tutta Italia per il prossimo primo marzo. La nostra Regione, con la sua alta presenza di stranieri provenienti dall’Europa e dagli altri continenti dovrebbe essere un laboratorio eccezionale di sviluppo culturale e integrazione”. “Come Giovani Democratici pensiamo che la pacifica convivenza e la legalità vadano di pari passo con la qualità della vita.”
- il Pd di Parigi, con il Segretario Beatrice Biagini:
“Il PD Parigi ha aderito allo sciopero e sarà in piazza il primo marzo”. “Siamo anche noi immigrati e scendiamo in piazza per ribadire i valori della convivenza e del rispetto”
Insieme
In Fondo degli scrittoridomenica 21 febbraio 2010
Una sera,
un cieco, un sordo, un muto
per qualche ora
sulle panchine di un parco
sedevano con il sorriso sulle labbra.
Il cieco vedeva con gli occhi
del sordo
il sordo ascoltava con l’orecchio
del muto
e il muto con le labbra degli altri,
parlava.
Tutti e tre insieme sentivano
Il profumo dei fiori.
Sherko Bekas
Poeta Kurdo – rifugiato politico in Svezia)
un cieco, un sordo, un muto
per qualche ora
sulle panchine di un parco
sedevano con il sorriso sulle labbra.
Il cieco vedeva con gli occhi
del sordo
il sordo ascoltava con l’orecchio
del muto
e il muto con le labbra degli altri,
parlava.
Tutti e tre insieme sentivano
Il profumo dei fiori.
Sherko Bekas
Poeta Kurdo – rifugiato politico in Svezia)
Sdl Intercategoriale proclama sciopero generale provinciale a Brescia
Il Sindacato dei Lavoratori intercategoriale (SdL) di Brescia, facendo seguito alla propria nota del 10 febbraio scorso indirizzata alla “Commissione di Garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali” e al Prefetto di Brescia, e constatato che in data 16.10.2010, presso la sede della Prefettura di Brescia, il tentativo di conciliazione in tema di sciopero nei servizi pubblici previsto dalla vigente legislazione non si è potuto esperire, PROCLAMA LO SCIOPERO GENERALE PER TUTTA LA PROVINCIA DI BRESCIA DI TUTTI I SETTORI PUBBLICI E PRIVATI PER L'INTERA GIORNATA DI LUNEDI' 1 MARZO 2010 (da intendersi INTERO TURNO DI LAVORO o, nel comparto trasporti, dalle ore 0,00 alle ore 24,00 con rispetto delle fasce di garanzia previste dalla legge).
La mobilitazione si svolge a sostegno della vertenza aperta in vari paesi europei dal Comitato Organizzatore della giornata di lotta del 1° marzo prossimo, indetta contro tutte le forme di lavoro nero e precario e contro ogni forma di razzismo e discriminazione nei confronti dei cittadini/e migranti.
A livello nazionale sosteniamo la lotta contro i provvedimenti del Governo contenuti nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” e contro la proposta di introdurre il permesso di soggiorno “a punti”, così come rivendicato anche localmente nella recente manifestazione del 6 febbraio u.s. a Brescia.
Mario Carleschi
coordinatore provinciale SdL intercategoriale Brescia
La mobilitazione si svolge a sostegno della vertenza aperta in vari paesi europei dal Comitato Organizzatore della giornata di lotta del 1° marzo prossimo, indetta contro tutte le forme di lavoro nero e precario e contro ogni forma di razzismo e discriminazione nei confronti dei cittadini/e migranti.
A livello nazionale sosteniamo la lotta contro i provvedimenti del Governo contenuti nel cosiddetto “pacchetto sicurezza” e contro la proposta di introdurre il permesso di soggiorno “a punti”, così come rivendicato anche localmente nella recente manifestazione del 6 febbraio u.s. a Brescia.
Mario Carleschi
coordinatore provinciale SdL intercategoriale Brescia
Clandestini*
In Fondo degli scrittoriPersonaggi: Il poliziotto Ubaldo / Il poliziotto Antonio / Quelli che arrivano.
Scenario: Ingresso controllo passaporti aeroporto di Fiumicino.
Epoca: attualissima.
Lo guardò, sorpreso. Una riga di sangue scorreva dalla bocca di quel … quel … come chiamarlo? Ubaldo prese in mano il passaporto del nuovo arrivato:
- Quanto tempo ha intenzione di rimanere in Italia?
- Non lo so.
Quel … come diavolo chiamarlo?, aveva una voce rauca e un alito con odore di bruciato.
- Aspetti un momento.
Era la prima volta che a Ubaldo succedeva una cosa simile. Andò allo sportello del suo compagno di lavoro.
- Antò, che faccio con quello?
- Ha i documenti in regola?
- Sì.
- Allora, fallo passare.
Ubaldo ritornò al suo sportello:
- La lascio entrare ma non può rimanere più di tre mesi - disse. - Ha un visto da turista. Dove alloggia?
- All’ospedale più vicino.
- Ospedale?
- Sono ferito, non lo vede? È stato il santo. Non mi lasciava in pace; finalmente sono riuscito a scappare.
- Perché ha scelto l’Italia?
- Sono figlio di un italiano. Mio padre era un pittore.
- Di pareti?
- No, di quadri.
- È vivo?
- No, morto.
- Come si chiamava?
- Chi, mio padre?
- Sì.
- Uccello.
- Lei è figlio di un uccello?
- Sì, di nome Paolo.
- Paolo?
- Uccello, appunto!
- A punto?
- Sì.
- La “A” per cosa starebbe?
- Non capisco la domanda.
- Mi ha detto che suo padre si chiamava Paolo A punto?
- Il nome di mio padre era Paolo Uccello
- Ma lei, da dove viene?
- Io?
- Certo, lei.
- Da Londra.
- Ha una professione?
- Io?
- Lei, certo.
- Faccio il drago.
- Ah, ecco, mi pareva un tipo strano. A dire la verità, è la prima volta che timbro il passaporto di un drago. Ma mi tolga una curiosità: che viene a fare in Italia?
- Non era più possibile vivere con Giorgio.
- Giorgio?
- Il santo! Mi ha reso la vita insopportabile con quella lancia. È vero che un drago che si rispetti deve pur perdere un po’ di sangue. Anche Michele si divertiva con la spada, ma non mi ha mai dato fastidio.
- Michele?
- L’Arcangelo.
Si ode un nitrito. Ubaldo si innervosisce:
- In fila reclamano. Non mi faccia perdere più tempo.
Timbra il passaporto del drago e senza guardare, dice al primo della fila, al di là della linea gialla:
- Avanti!
Gli è consegnato un passaporto. Ubaldo vede la foto nel passaporto. Si gira di scatto:
- E lei chi sarebbe?
- L’Unicorno.
Ubaldo non è mai uscito dal Lazio: il suo viaggio più lungo è stato una gita a Frosinone. Davanti a sé vede un cavallo con un lungo corno:
- Da dove viene?
- Conosce l’arazzeria?
- L’Algeria?
- Ho detto arazzeria.
- Antò, dove rimane l’Arazzeria?
- Boh!
Un nuovo nitrito si fa sentire.
- Signore …
- Unicorno.
- L’Arazzeria dove si trova?
- In Francia.
- Lei viene dalla Francia?
- Sì.
- Allora non complichiamo le cose. Lei deve dichiarare un solo posto di provenienza. Arazzeria, non va bene, non ispira fiducia. Francia, invece, va bene, è un paese civile.
- La mia dama …
- Dov’è?
- Arriva con il prossimo volo.
- Ah, vada avanti!
L’unicorno entra.
- Il prossimo! - dice Ubaldo.
Si presenta un essere mostruoso: ha orecchie e naso da maiale, enorme bocca rossa con zanne gialle. Anche gli occhi sono gialli; ha un solo piede umano; l’altro è una zampa scura dotata di artigli; in testa, un nido di capelli con due uccelli neri con i becchi aperti.
- Favorisca il passaporto - dice Ubaldo.
Il mostro glielo consegna. Ubaldo si sorprende:
- Lei è il dio del vento e del tuono?
- Sì.
Con terrore mescolato a fascino, Ubaldo guarda il mostro appena arrivato:
- Da dove viene?
- Dalla terra del Sole Levante.
- Come?
- Dal Giappone.
- Ah.
Il mostro si avvicina al vetro dello sportello e sussurra con aria confidenziale:
- Sono scappato da un paravento.
Ubaldo non sa cosa sia un paravento; osa fare ancora una domanda:
- In Giappone si sta bene, che ci viene a fare in Italia?
- Vengo a liberare gli elementi.
Ubaldo non sa cosa siano gli elementi ma di solito sono gli eroi a liberare gli altri.
- Sa che non potrà rimanere più di tre mesi, vero?
- Più che sufficiente - risponde il mostro.
- Passi pure.
Dopo aver timbrato il passaporto del mostruoso dio del vento e del tuono, Ubaldo sospira:
- Mamma mia, oggi mi stanno a capitare dei tipi strani. Avanti, il prossimo!
Si avvicina una donna minuta dalla pelle del color del rame, gli occhi a mandorla. Sulle spalle un poncho dai colori vivaci. La donna consegna il passaporto a Ubaldo e gli sorride. Ah, pensa Ubaldo, finalmente qualcuno mi regala un sorriso. Guarda il passaporto:
- Sei peruviana?
- Sí, señor.
- Parli l’italiano?
- No, señor.
- Che vieni a fare in Italia?
- Sí, señor.
- Sì, cosa? Non ti ho fatto una domanda.
- No, señor.
- Hai un contratto di lavoro?
- Sí, señor.
- Me lo fai vedere?
- No, señor.
- Non puoi entrare.
- Señor, quiero trabajar!
- Guarda, io non capisco la tua lingua. Vedi quella sala? Ecco, va’ direttamente lì e mostra i tuoi documenti.
La peruviana s’incammina verso la sala indicata da Ubaldo.
- Antò, hai visto che carina? È vero che sono tutti belli dopo quel dio giapponese … Che giornata!
Va da Antonio e si versa del caffè dalla bottiglia termica dell’amico. Quelli della fila aspettano.
- Antò, ho fatto entrare quel mostro e non ho fatto passare la peruviana. Non mi sembra giusto. Tu che dici? Hai visto quanto era garbata? Sì, signor, no signor.
Ubaldo sorbe lentamente il caffè. È preoccupato.
- Sai che ti dico? Quella donna potrebbe lavorare come badante da mia nonna.
Finisce il caffè, ritorna al suo posto. Si siede ma non riprende subito il lavoro. I suoi occhi sembrano vedere qualcosa lontano. Tutto ad un tratto, si alza e in uno scatto raggiunge la peruviana:
- Dammi il tuo passaporto. Ti metto il timbro.
- Sí, señor.
Ubaldo scarabocchia il numero di telefono di casa sua:
- Chiamami questa sera.
- No, señor.
- Ti trovo pure il lavoro.
- Sí, señor.
Mille volte meglio, pensa Ubaldo, lasciare nonna Palmerina con te che con un drago, un cavallo cornuto o un mostro giapponese.
La peruviana saluta e se ne va.
- Il prossimo! - grida Ubaldo.
È una donna alta, muscolosa, dalla pelle e dal sorriso molto chiari. Dio mio, pensa Ubaldo, finalmente gente che sorride, ringrazia, saluta. Insomma, gente come noi!
-Passaporto – dice.
La donna gli porge il passaporto.
- Sei dell’Ucraina.
La donna fa di sì con la testa.
- Parli italiano?
- Un poco. Sono tornata per riprendere lavoro.
- Cosa facevi?
- Badante di signora novantenne.
- Mi fai vedere il tuo contratto di lavoro?
- Non ho.
- Questo è grave. Non puoi entrare senza il contratto.
- Può parlare con figlia signora dove lavoro.
- Non posso farci nulla. Devi ritornare in Ucraina.
- Signora molto vecchia. Ha bisogno di me.
Santo cielo, pensa Ubaldo, ho fatto entrare la peruviana per nonna Palmerina e come faccio a rifiutare l’ingresso a questa donna che lavora presso un’altra nonna? Ho fatto passare un cavallo con un corno ficcato in mezzo alla testa e adesso faccio ritornare questa in Ucraina? Si vede che è una brava persona. Viene per lavorare. Ah, le timbro subito il passaporto, non chiedo neanche il parere di Antonio.
- Avanti, entra pure.
- Risolto problema?
- Sì, risolto.
- Grazie.
Un giovane nero era già davanti allo sportello e gli porgeva il documento.
- Tu sei …
- João da Silva, enfermeiro.
Il giovane mostra un rettangolo di carta:
- O meu diploma.
- Da dove vieni?
- Brasil.
- Ti ha chiamato qualche ospedale?
- Não.
Ubaldo si ricorda di aver sentito che le porte d’Italia si sarebbero aperte agli infermieri del terzo mondo. Ce n’erano di posti per loro. D’altra parte, gli italiani continuavano a invecchiare … Troppa fatica negli ospedali … Ubaldo mette un timbro sul foglio del verde passaporto che ha davanti a sé:
- Benvenuto in Italia!
Il brasiliano alza il pollice della mano destra:
- Obrigado!
E arrivarono altri uomini e donne con passaporti di vari colori. Ubaldo li lasciò entrare. Tutti. Ogni volta, pensava: che persona normale, sana, niente corno in testa, né zampa né artigli, niente bocca che puzza di bruciato. È di gente così che l‘Italia ha bisogno! Il drago aveva i documenti in regola ma di sicuro provocherà delle risse: non aveva litigato persino con il santo? L’unicorno magari tirerà la carrozza di qualche vetturino, ma come farà a gestire quell’enorme corno nel traffico di Roma? Il dio giapponese sarà scambiato per un pazzo furioso da qualche vigile che gli ricorderà che il carnevale da mo’ che è finito. Non è meglio aprire l’Italia alla gente che lavora e sorride, che dice buon giorno e non dimentica il grazie?
In quel momento, Ubaldo pensò alla peruviana che avrebbe lavorato da nonna Palmerina. Il cuore gli batté più forte e, quasi senza accorgersene, abbozzò un sorriso clandestino:
- Avanti, il prossimo!
* christiana de caldas brito (pubblicato sul el ghibli, settembre 2009).
Scenario: Ingresso controllo passaporti aeroporto di Fiumicino.
Epoca: attualissima.
Lo guardò, sorpreso. Una riga di sangue scorreva dalla bocca di quel … quel … come chiamarlo? Ubaldo prese in mano il passaporto del nuovo arrivato:
- Quanto tempo ha intenzione di rimanere in Italia?
- Non lo so.
Quel … come diavolo chiamarlo?, aveva una voce rauca e un alito con odore di bruciato.
- Aspetti un momento.
Era la prima volta che a Ubaldo succedeva una cosa simile. Andò allo sportello del suo compagno di lavoro.
- Antò, che faccio con quello?
- Ha i documenti in regola?
- Sì.
- Allora, fallo passare.
Ubaldo ritornò al suo sportello:
- La lascio entrare ma non può rimanere più di tre mesi - disse. - Ha un visto da turista. Dove alloggia?
- All’ospedale più vicino.
- Ospedale?
- Sono ferito, non lo vede? È stato il santo. Non mi lasciava in pace; finalmente sono riuscito a scappare.
- Perché ha scelto l’Italia?
- Sono figlio di un italiano. Mio padre era un pittore.
- Di pareti?
- No, di quadri.
- È vivo?
- No, morto.
- Come si chiamava?
- Chi, mio padre?
- Sì.
- Uccello.
- Lei è figlio di un uccello?
- Sì, di nome Paolo.
- Paolo?
- Uccello, appunto!
- A punto?
- Sì.
- La “A” per cosa starebbe?
- Non capisco la domanda.
- Mi ha detto che suo padre si chiamava Paolo A punto?
- Il nome di mio padre era Paolo Uccello
- Ma lei, da dove viene?
- Io?
- Certo, lei.
- Da Londra.
- Ha una professione?
- Io?
- Lei, certo.
- Faccio il drago.
- Ah, ecco, mi pareva un tipo strano. A dire la verità, è la prima volta che timbro il passaporto di un drago. Ma mi tolga una curiosità: che viene a fare in Italia?
- Non era più possibile vivere con Giorgio.
- Giorgio?
- Il santo! Mi ha reso la vita insopportabile con quella lancia. È vero che un drago che si rispetti deve pur perdere un po’ di sangue. Anche Michele si divertiva con la spada, ma non mi ha mai dato fastidio.
- Michele?
- L’Arcangelo.
Si ode un nitrito. Ubaldo si innervosisce:
- In fila reclamano. Non mi faccia perdere più tempo.
Timbra il passaporto del drago e senza guardare, dice al primo della fila, al di là della linea gialla:
- Avanti!
Gli è consegnato un passaporto. Ubaldo vede la foto nel passaporto. Si gira di scatto:
- E lei chi sarebbe?
- L’Unicorno.
Ubaldo non è mai uscito dal Lazio: il suo viaggio più lungo è stato una gita a Frosinone. Davanti a sé vede un cavallo con un lungo corno:
- Da dove viene?
- Conosce l’arazzeria?
- L’Algeria?
- Ho detto arazzeria.
- Antò, dove rimane l’Arazzeria?
- Boh!
Un nuovo nitrito si fa sentire.
- Signore …
- Unicorno.
- L’Arazzeria dove si trova?
- In Francia.
- Lei viene dalla Francia?
- Sì.
- Allora non complichiamo le cose. Lei deve dichiarare un solo posto di provenienza. Arazzeria, non va bene, non ispira fiducia. Francia, invece, va bene, è un paese civile.
- La mia dama …
- Dov’è?
- Arriva con il prossimo volo.
- Ah, vada avanti!
L’unicorno entra.
- Il prossimo! - dice Ubaldo.
Si presenta un essere mostruoso: ha orecchie e naso da maiale, enorme bocca rossa con zanne gialle. Anche gli occhi sono gialli; ha un solo piede umano; l’altro è una zampa scura dotata di artigli; in testa, un nido di capelli con due uccelli neri con i becchi aperti.
- Favorisca il passaporto - dice Ubaldo.
Il mostro glielo consegna. Ubaldo si sorprende:
- Lei è il dio del vento e del tuono?
- Sì.
Con terrore mescolato a fascino, Ubaldo guarda il mostro appena arrivato:
- Da dove viene?
- Dalla terra del Sole Levante.
- Come?
- Dal Giappone.
- Ah.
Il mostro si avvicina al vetro dello sportello e sussurra con aria confidenziale:
- Sono scappato da un paravento.
Ubaldo non sa cosa sia un paravento; osa fare ancora una domanda:
- In Giappone si sta bene, che ci viene a fare in Italia?
- Vengo a liberare gli elementi.
Ubaldo non sa cosa siano gli elementi ma di solito sono gli eroi a liberare gli altri.
- Sa che non potrà rimanere più di tre mesi, vero?
- Più che sufficiente - risponde il mostro.
- Passi pure.
Dopo aver timbrato il passaporto del mostruoso dio del vento e del tuono, Ubaldo sospira:
- Mamma mia, oggi mi stanno a capitare dei tipi strani. Avanti, il prossimo!
Si avvicina una donna minuta dalla pelle del color del rame, gli occhi a mandorla. Sulle spalle un poncho dai colori vivaci. La donna consegna il passaporto a Ubaldo e gli sorride. Ah, pensa Ubaldo, finalmente qualcuno mi regala un sorriso. Guarda il passaporto:
- Sei peruviana?
- Sí, señor.
- Parli l’italiano?
- No, señor.
- Che vieni a fare in Italia?
- Sí, señor.
- Sì, cosa? Non ti ho fatto una domanda.
- No, señor.
- Hai un contratto di lavoro?
- Sí, señor.
- Me lo fai vedere?
- No, señor.
- Non puoi entrare.
- Señor, quiero trabajar!
- Guarda, io non capisco la tua lingua. Vedi quella sala? Ecco, va’ direttamente lì e mostra i tuoi documenti.
La peruviana s’incammina verso la sala indicata da Ubaldo.
- Antò, hai visto che carina? È vero che sono tutti belli dopo quel dio giapponese … Che giornata!
Va da Antonio e si versa del caffè dalla bottiglia termica dell’amico. Quelli della fila aspettano.
- Antò, ho fatto entrare quel mostro e non ho fatto passare la peruviana. Non mi sembra giusto. Tu che dici? Hai visto quanto era garbata? Sì, signor, no signor.
Ubaldo sorbe lentamente il caffè. È preoccupato.
- Sai che ti dico? Quella donna potrebbe lavorare come badante da mia nonna.
Finisce il caffè, ritorna al suo posto. Si siede ma non riprende subito il lavoro. I suoi occhi sembrano vedere qualcosa lontano. Tutto ad un tratto, si alza e in uno scatto raggiunge la peruviana:
- Dammi il tuo passaporto. Ti metto il timbro.
- Sí, señor.
Ubaldo scarabocchia il numero di telefono di casa sua:
- Chiamami questa sera.
- No, señor.
- Ti trovo pure il lavoro.
- Sí, señor.
Mille volte meglio, pensa Ubaldo, lasciare nonna Palmerina con te che con un drago, un cavallo cornuto o un mostro giapponese.
La peruviana saluta e se ne va.
- Il prossimo! - grida Ubaldo.
È una donna alta, muscolosa, dalla pelle e dal sorriso molto chiari. Dio mio, pensa Ubaldo, finalmente gente che sorride, ringrazia, saluta. Insomma, gente come noi!
-Passaporto – dice.
La donna gli porge il passaporto.
- Sei dell’Ucraina.
La donna fa di sì con la testa.
- Parli italiano?
- Un poco. Sono tornata per riprendere lavoro.
- Cosa facevi?
- Badante di signora novantenne.
- Mi fai vedere il tuo contratto di lavoro?
- Non ho.
- Questo è grave. Non puoi entrare senza il contratto.
- Può parlare con figlia signora dove lavoro.
- Non posso farci nulla. Devi ritornare in Ucraina.
- Signora molto vecchia. Ha bisogno di me.
Santo cielo, pensa Ubaldo, ho fatto entrare la peruviana per nonna Palmerina e come faccio a rifiutare l’ingresso a questa donna che lavora presso un’altra nonna? Ho fatto passare un cavallo con un corno ficcato in mezzo alla testa e adesso faccio ritornare questa in Ucraina? Si vede che è una brava persona. Viene per lavorare. Ah, le timbro subito il passaporto, non chiedo neanche il parere di Antonio.
- Avanti, entra pure.
- Risolto problema?
- Sì, risolto.
- Grazie.
Un giovane nero era già davanti allo sportello e gli porgeva il documento.
- Tu sei …
- João da Silva, enfermeiro.
Il giovane mostra un rettangolo di carta:
- O meu diploma.
- Da dove vieni?
- Brasil.
- Ti ha chiamato qualche ospedale?
- Não.
Ubaldo si ricorda di aver sentito che le porte d’Italia si sarebbero aperte agli infermieri del terzo mondo. Ce n’erano di posti per loro. D’altra parte, gli italiani continuavano a invecchiare … Troppa fatica negli ospedali … Ubaldo mette un timbro sul foglio del verde passaporto che ha davanti a sé:
- Benvenuto in Italia!
Il brasiliano alza il pollice della mano destra:
- Obrigado!
E arrivarono altri uomini e donne con passaporti di vari colori. Ubaldo li lasciò entrare. Tutti. Ogni volta, pensava: che persona normale, sana, niente corno in testa, né zampa né artigli, niente bocca che puzza di bruciato. È di gente così che l‘Italia ha bisogno! Il drago aveva i documenti in regola ma di sicuro provocherà delle risse: non aveva litigato persino con il santo? L’unicorno magari tirerà la carrozza di qualche vetturino, ma come farà a gestire quell’enorme corno nel traffico di Roma? Il dio giapponese sarà scambiato per un pazzo furioso da qualche vigile che gli ricorderà che il carnevale da mo’ che è finito. Non è meglio aprire l’Italia alla gente che lavora e sorride, che dice buon giorno e non dimentica il grazie?
In quel momento, Ubaldo pensò alla peruviana che avrebbe lavorato da nonna Palmerina. Il cuore gli batté più forte e, quasi senza accorgersene, abbozzò un sorriso clandestino:
- Avanti, il prossimo!
* christiana de caldas brito (pubblicato sul el ghibli, settembre 2009).
Io*
In Fondo degli scrittoriNell’intimo,
un bisbiglio:
io.
Mormorio,
borbottio, ronzio,
sibilo, brontolio, brusio,
vocio, strepitare, chiasso,
clamore, frastuono:
IO sono un uomo.
*Gino Luka
un bisbiglio:
io.
Mormorio,
borbottio, ronzio,
sibilo, brontolio, brusio,
vocio, strepitare, chiasso,
clamore, frastuono:
IO sono un uomo.
*Gino Luka
Docenti universitari/e a sostegno del primo marzo
In AdesioniDapprima in Francia, poi in Italia, in Spagna, in Grecia e in altri paesi europei, la giornata del primo marzo è stata proclamata “una giornata senza di noi” con l’intento da parte dei/delle migranti che vivono in questi paesi di far percepire, per un giorno, l’importanza della loro presenza economica e sociale sia attraverso lo sciopero sia attraverso altre forme di protesta come l'astensione dai consumi. Ispirata alla giornata del primo maggio del 2006, quando in varie città degli Stati Uniti i/le migranti privi/e di documenti di soggiorno erano riusciti/e a bloccare la vita economica e sociale di quelle città attraverso una massiccia astensione dal lavoro e fluviali manifestazioni in cui ricordavano a tutti che “We are America”, questa giornata ci sembra di particolare importanza anche per iniziare una necessaria riflessione sulle forme della nostra esistenza comune di cittadini/e e non cittadini/e, migranti e non.
Per questo, abbiamo deciso di assumere come parte del nostro testo quello sottoscritto da alcuni lavoratori africani di Rosarno. Riteniamo, infatti, che quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni di gennaio – le intimidazioni e le violenze sui migranti, la rivolta dei lavoratori africani, la “caccia al nero” dei giorni successivi, il coinvolgimento di alcune parti della mafia nella “gestione dell’ordine pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i lavoratori africani, la loro detenzione nei centri di identificazione ed espulsione e la minaccia di espulsione per quelli privi di permesso di soggiorno – sia il precipitato, soltanto più visibile, delle scelte politiche con cui negli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno affrontato e voluto gestire il fenomeno globale delle migrazioni. Il risultato, innanzitutto, di una volontà di generale clandestinizzazione della presenza dei/lle migranti e dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che ha permesso, non solo a Rosarno, ma nel Sud come nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e le serre così come nelle fabbriche e le piccole imprese, o nelle famiglie, forme di assoluto sfruttamento della forza lavoro possibili grazie a un’illegalità diffusa del mercato del lavoro generata proprio dalle leggi che normano l’immigrazione. Ricordiamo di seguito alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla base di quanto accaduto a Rosarno così come di quanto accade quotidianamente nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano 1998, con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante, compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel maggio del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane con la deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati dallo stato italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati provenienti dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. La criminalizzazione dei migranti privi di permesso di soggiorno produce effetti a cascata su tutti/e i/le migranti che vivono in Italia, rendendo precaria la condizione degli/delle stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e a continue discriminazioni e alla possibilità sempre presente di ricadere nell’“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si chiedono i lavoratori africani di Rosarno, in una lettera scritta durante l'assemblea in cui si sono incontrati a Roma alla fine di gennaio, descrivendo prima di questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla giornata lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di episodi di violenza e intimidazioni. “Come può esistere chi non esiste” è, infatti, secondo noi, la domanda di fondo diventata sempre più impellente in Italia e generata da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai erodendo la vivibilità comune delle nostre città. O, meglio, come possono esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione, dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e all’ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?
Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi salari e senza garanzie.
La scandalosa difficoltà nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile costruire spazi di convivenza futuri.
Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane
firmatari:
Fabio Amaya (Università di Bergamo)
Anna Curcio (Università di Messina)
Umberto Galimberti (Università di Venezia)
Maria Grazia Meriggi (Università di Bergamo)
Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
Renata Pepicelli (Università di Bologna)
Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)
Antonello Petrillo (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federico Rahola (Università di Genova)
Fabio Raimondi (Università di Salerno)
Maurizio Ricciardi (Università di Bologna)
Anna Maria Rivera (Università di Bari)
Gigi Roggero (Università di Bologna)
Pier Aldo Rovatti (Università di Trieste)
Devi Sacchetto (Università di Padova)
Anna Simone (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federica Sossi (Università di Bergamo)
Alessandro Triulzi (Università di Napoli L’Orientale)
Tiziana Terranova (Università di Napoli L’Orientale)
Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)
per ulteriori adesioni: http://www.PetitionOnline.com/march1st/petition.html
Per questo, abbiamo deciso di assumere come parte del nostro testo quello sottoscritto da alcuni lavoratori africani di Rosarno. Riteniamo, infatti, che quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni di gennaio – le intimidazioni e le violenze sui migranti, la rivolta dei lavoratori africani, la “caccia al nero” dei giorni successivi, il coinvolgimento di alcune parti della mafia nella “gestione dell’ordine pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i lavoratori africani, la loro detenzione nei centri di identificazione ed espulsione e la minaccia di espulsione per quelli privi di permesso di soggiorno – sia il precipitato, soltanto più visibile, delle scelte politiche con cui negli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno affrontato e voluto gestire il fenomeno globale delle migrazioni. Il risultato, innanzitutto, di una volontà di generale clandestinizzazione della presenza dei/lle migranti e dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che ha permesso, non solo a Rosarno, ma nel Sud come nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e le serre così come nelle fabbriche e le piccole imprese, o nelle famiglie, forme di assoluto sfruttamento della forza lavoro possibili grazie a un’illegalità diffusa del mercato del lavoro generata proprio dalle leggi che normano l’immigrazione. Ricordiamo di seguito alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla base di quanto accaduto a Rosarno così come di quanto accade quotidianamente nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano 1998, con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante, compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel maggio del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane con la deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati dallo stato italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati provenienti dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. La criminalizzazione dei migranti privi di permesso di soggiorno produce effetti a cascata su tutti/e i/le migranti che vivono in Italia, rendendo precaria la condizione degli/delle stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e a continue discriminazioni e alla possibilità sempre presente di ricadere nell’“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si chiedono i lavoratori africani di Rosarno, in una lettera scritta durante l'assemblea in cui si sono incontrati a Roma alla fine di gennaio, descrivendo prima di questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla giornata lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di episodi di violenza e intimidazioni. “Come può esistere chi non esiste” è, infatti, secondo noi, la domanda di fondo diventata sempre più impellente in Italia e generata da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai erodendo la vivibilità comune delle nostre città. O, meglio, come possono esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione, dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e all’ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?
Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi salari e senza garanzie.
La scandalosa difficoltà nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile costruire spazi di convivenza futuri.
Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane
firmatari:
Fabio Amaya (Università di Bergamo)
Anna Curcio (Università di Messina)
Umberto Galimberti (Università di Venezia)
Maria Grazia Meriggi (Università di Bergamo)
Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
Renata Pepicelli (Università di Bologna)
Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)
Antonello Petrillo (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federico Rahola (Università di Genova)
Fabio Raimondi (Università di Salerno)
Maurizio Ricciardi (Università di Bologna)
Anna Maria Rivera (Università di Bari)
Gigi Roggero (Università di Bologna)
Pier Aldo Rovatti (Università di Trieste)
Devi Sacchetto (Università di Padova)
Anna Simone (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federica Sossi (Università di Bergamo)
Alessandro Triulzi (Università di Napoli L’Orientale)
Tiziana Terranova (Università di Napoli L’Orientale)
Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)
per ulteriori adesioni: http://www.PetitionOnline.com/march1st/petition.html
Sciopero a Trento
La Filcams-Cgil indice per il Primo marzo 2010 lo sciopero per i lavoratori dei servizi, del commercio e del turismo. La notizia è stata ufficializzata ieri, 20 febbraio. In particolare, si asterranno dal lavoro le lavoratrici impiegate nelle pulizie all'Ospedale Santa Chiara: si tratta di personale formato per oltre il 70% da donne immigrate.
Sciopero a Trieste
In data 8 febbraio, le Segreterie Provinciali delle Confederazioni Sindacali Confederazione COBAS e Unione Sindacale Italiana –USI/AIT hanno scritto al prefetto di trieste per proclamare lo sciopero generale provinciale di tutte le categorie del lavoro pubblico e privato per l’intera giornata del 1 marzo 2010. A seguire, uno stralcio (consistente) della lettera.
Lo sciopero generale provinciale è indetto per:
- parità di diritti e dignità per i cittadini immigrati, abrogazione della Legge Bossi-Fini e del “pacchetto sicurezza”, leggi razziste e liberticide;
- reddito per i lavoratori “atipici”, con mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati;
- aumenti consistenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo garantito per chi non ha lavoro;
- eliminazione della precarietà lavorativa attraverso l’assunzione a tempo indeterminato dei precari e la reinternalizzazione dei servizi;
- aggancio dei salari e delle pensioni al reale costo della vita;
- piano straordinario per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, delle scuole, dei trasporti, dei territori a rischio: NO alla riduzione di responsabilità e delle sanzioni per chi causa morti sul lavoro, gravi infortuni, malattie professionali;
- piano straordinario di investimenti pubblici per il reperimento di alloggi popolari, tramite utilizzo di case sfitte mediante recupero, ristrutturazione e requisizione del patrimonio immobiliare esistente, blocco degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi:
- contro l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici della P.A., premessa all’aumento generalizzato per tutti i lavoratori pubblici e privati;
- ritiro della “riforma Brunetta”;
- contro il blocco delle assunzioni nel Pubblico Impiego per l’anno 2010;
- per l’assunzione di tutti i precari contro i tagli di posti, classi, orari nella Scuola Pubblica.
Durante lo sciopero saranno garantiti i servizi minimi essenziali.
Lo sciopero generale provinciale è indetto per:
- parità di diritti e dignità per i cittadini immigrati, abrogazione della Legge Bossi-Fini e del “pacchetto sicurezza”, leggi razziste e liberticide;
- reddito per i lavoratori “atipici”, con mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati;
- aumenti consistenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo garantito per chi non ha lavoro;
- eliminazione della precarietà lavorativa attraverso l’assunzione a tempo indeterminato dei precari e la reinternalizzazione dei servizi;
- aggancio dei salari e delle pensioni al reale costo della vita;
- piano straordinario per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, delle scuole, dei trasporti, dei territori a rischio: NO alla riduzione di responsabilità e delle sanzioni per chi causa morti sul lavoro, gravi infortuni, malattie professionali;
- piano straordinario di investimenti pubblici per il reperimento di alloggi popolari, tramite utilizzo di case sfitte mediante recupero, ristrutturazione e requisizione del patrimonio immobiliare esistente, blocco degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi:
- contro l’aumento dell’età pensionabile per le lavoratrici della P.A., premessa all’aumento generalizzato per tutti i lavoratori pubblici e privati;
- ritiro della “riforma Brunetta”;
- contro il blocco delle assunzioni nel Pubblico Impiego per l’anno 2010;
- per l’assunzione di tutti i precari contro i tagli di posti, classi, orari nella Scuola Pubblica.
Durante lo sciopero saranno garantiti i servizi minimi essenziali.
I cobas aderiscono al Primo marzo
In AdesioniLa rivolta di Rosarno ha drammaticamente portato alla ribalta i perversi ingranaggi dello sfruttamento dei migranti: brutali ricatti per imporre lavoro in nero, paghe miserrime e condizioni di lavoro bestiali, vessazioni e violenze da parte dei “caporali”, ricoveri fatiscenti totalmente privi di servizi igienici, luce ed acqua, nessuna assistenza sanitaria: e il tutto spesso sotto il tallone di ferro della criminalità organizzata.
Da trent’anni a questa parte migliaia e migliaia di immigrati si spostano nel Sud d’Italia seguendo il ritmo delle stagioni e delle colture, manodopera maschile a basso costo su cui si è retta l’agricoltura e buona parte dell’economia del Meridione.
E’ una realtà di cui tutte le autorità e le strutture istituzionali, a livello locale e nazionale, sono a conoscenza ma su cui nessuno ha mosso un dito, né i governi, passati di centrodestra o di centrosinistra, né le istituzioni politiche locali e nazionali, né gli organismi preposti al controllo.
Quanti padroni e padroncini sono stati puniti, hanno pagato per aver usato manodopera illegale, immigrata e non? Quanti per aver eluso elementari norme di sicurezza che hanno causato la morte di propri dipendenti?
Il Parlamento - adeguandosi alle campagne forcaiole della Lega e della destra più retriva che da vent’anni a questa parte hanno costruito le loro fortune politiche sulla paura e sull’odio rispetto ai migranti e agli “stranieri” - ha varato una legislazione sempre più restrittiva, a partire dalla Turco/Napolitano passando per la Bossi Fini e il recente pacchetto sicurezza, sino alle trovate xenofobe della ministra Gelmini, che vuole limitare la presenza dei bambini stranieri al 30 % in ogni classe.
E mentre Maroni continua a combattere i clandestini invece di combattere il lavoro nero, non si tiene in nessun conto che il nostro sistema economico ha assoluta necessità e reclama milioni di migranti, meglio se irregolari, perché ricattabili e adatti ad essere sfruttati al massimo, salvo poi espellerli dal corpo sociale ad ogni accenno di crisi e additarli come i responsabili del disagio e del degrado imperanti nelle nostre città. Di fronte a questo intollerabile stato delle cose, a noi spetta il compito di avviare una grande stagione di lotte che veda protagonisti i lavoratori/trici migranti a fianco dei lavoratori/trici stanziali contro il lavoro nero, per il rispetto dei diritti economici, politici e sociali di tutti/e, per l'affermazione della dignità di tutti/e, individuando terreni e interessi comuni.
La difesa di tutti gli migranti residenti nel nostro paese non è solo un dovere democratico e umanitario ma anche una necessità: il rispetto dei loro diritti è anche condizione per impedire che vengano usati per indebolire i diritti di tutti gli altri lavoratori/trici.
La Confederazione Cobas aderirà dunque alla giornata di lotta e protesta del Primo Marzo in varie forme, con assemblee sui luoghi di lavoro e nel territorio, iniziative di piazza, carovane dei diritti, sit-in di denuncia presso le sedi degli istituti preposti al rispetto dei diritti del lavoro. Nelle situazioni locali, cittadine o provinciali, ove vi sarà una specifica richiesta da parte di gruppi di migranti, i Cobas convocheranno anche scioperi del lavoro privato e pubblico.
In particolare nella scuola - ove nel lavoro educativo gli insegnanti Cobas sono sempre partiti dal principio dell’uguaglianza dei diritti, del riconoscimento delle culture, del diritto alla libertà di movimento delle persone, contro lo sfruttamento e il razzismo - renderemo concreto questo nostro sostegno intervenendo nel nostro lavoro, nella didattica. Il Primo marzo faremo una didattica alternativa sul tema dei migranti e presenteremo agli studenti espliciti percorsi di intercultura, di storia e critica del razzismo, di approfondimento della storia della colonizzazione e dello sfruttamento del lavoro migrante. Sottolineeremo gli elementi che possano rafforzare percorsi di riconoscimento dell’Altro come persona, come lavoratore e lavoratrice, come studente e studentessa dotati di eguali diritti. Dichiareremo pubblicamente la nostra scelta e renderemo in questo modo tangibile il nostro impegno al fianco e insieme ai migranti in lotta.
Per il Lavoro, Per i Diritti, Per l’Istruzione Nessuno E' Straniero
Confederazione COBAS
Da trent’anni a questa parte migliaia e migliaia di immigrati si spostano nel Sud d’Italia seguendo il ritmo delle stagioni e delle colture, manodopera maschile a basso costo su cui si è retta l’agricoltura e buona parte dell’economia del Meridione.
E’ una realtà di cui tutte le autorità e le strutture istituzionali, a livello locale e nazionale, sono a conoscenza ma su cui nessuno ha mosso un dito, né i governi, passati di centrodestra o di centrosinistra, né le istituzioni politiche locali e nazionali, né gli organismi preposti al controllo.
Quanti padroni e padroncini sono stati puniti, hanno pagato per aver usato manodopera illegale, immigrata e non? Quanti per aver eluso elementari norme di sicurezza che hanno causato la morte di propri dipendenti?
Il Parlamento - adeguandosi alle campagne forcaiole della Lega e della destra più retriva che da vent’anni a questa parte hanno costruito le loro fortune politiche sulla paura e sull’odio rispetto ai migranti e agli “stranieri” - ha varato una legislazione sempre più restrittiva, a partire dalla Turco/Napolitano passando per la Bossi Fini e il recente pacchetto sicurezza, sino alle trovate xenofobe della ministra Gelmini, che vuole limitare la presenza dei bambini stranieri al 30 % in ogni classe.
E mentre Maroni continua a combattere i clandestini invece di combattere il lavoro nero, non si tiene in nessun conto che il nostro sistema economico ha assoluta necessità e reclama milioni di migranti, meglio se irregolari, perché ricattabili e adatti ad essere sfruttati al massimo, salvo poi espellerli dal corpo sociale ad ogni accenno di crisi e additarli come i responsabili del disagio e del degrado imperanti nelle nostre città. Di fronte a questo intollerabile stato delle cose, a noi spetta il compito di avviare una grande stagione di lotte che veda protagonisti i lavoratori/trici migranti a fianco dei lavoratori/trici stanziali contro il lavoro nero, per il rispetto dei diritti economici, politici e sociali di tutti/e, per l'affermazione della dignità di tutti/e, individuando terreni e interessi comuni.
La difesa di tutti gli migranti residenti nel nostro paese non è solo un dovere democratico e umanitario ma anche una necessità: il rispetto dei loro diritti è anche condizione per impedire che vengano usati per indebolire i diritti di tutti gli altri lavoratori/trici.
La Confederazione Cobas aderirà dunque alla giornata di lotta e protesta del Primo Marzo in varie forme, con assemblee sui luoghi di lavoro e nel territorio, iniziative di piazza, carovane dei diritti, sit-in di denuncia presso le sedi degli istituti preposti al rispetto dei diritti del lavoro. Nelle situazioni locali, cittadine o provinciali, ove vi sarà una specifica richiesta da parte di gruppi di migranti, i Cobas convocheranno anche scioperi del lavoro privato e pubblico.
In particolare nella scuola - ove nel lavoro educativo gli insegnanti Cobas sono sempre partiti dal principio dell’uguaglianza dei diritti, del riconoscimento delle culture, del diritto alla libertà di movimento delle persone, contro lo sfruttamento e il razzismo - renderemo concreto questo nostro sostegno intervenendo nel nostro lavoro, nella didattica. Il Primo marzo faremo una didattica alternativa sul tema dei migranti e presenteremo agli studenti espliciti percorsi di intercultura, di storia e critica del razzismo, di approfondimento della storia della colonizzazione e dello sfruttamento del lavoro migrante. Sottolineeremo gli elementi che possano rafforzare percorsi di riconoscimento dell’Altro come persona, come lavoratore e lavoratrice, come studente e studentessa dotati di eguali diritti. Dichiareremo pubblicamente la nostra scelta e renderemo in questo modo tangibile il nostro impegno al fianco e insieme ai migranti in lotta.
Per il Lavoro, Per i Diritti, Per l’Istruzione Nessuno E' Straniero
Confederazione COBAS
Eccoti dunque... Lampedusa!*
In Fondo degli scrittoriEccoti qua, Lampedusa!
Goccia di terra in mezzo a tanta acqua. Goccia di speranza in mezzo a un mare di guai.
Regina delle illusioni. Luce di tante falene.
Specchio di innumerevoli allodole.
Eccoti qua di fronte a me.
Pezzo d'Europa strappato all'Africa in qualche vicenda dimenticata della storia.
Porta dell'impero. Frontiera dell'opulenza.
Quante menti ti hanno sognata in mezzo al mare come l'ultima salvezza?
Quanti corpi bruciati dal sole e dal sale si sono trascinati verso le tue rive?
Quanti ti sono arrivati e quanti mai?
Destino terribile il tuo, Lampedusa.
Destino terribile quello di portare sulle tue magre spalle il destino di così tanti disperati.
Missione terribile quella di fungere da porta ad una fortezza così grande, così attraente.
8 mila abitanti e pochi ettari, in mezzo a due continenti.
Uno troppo ricco, l'altro troppo povero.
E tu, lì in mezzo, senza sapere cosa fare.
Oggi le tue carceri sono vuote. Oggi non si butta nessuno tra le tue braccia salvifiche.
Oggi l'impero ha deciso di sollevarti del peso dei dannati che ti cercavano come la salvezza... rimandandoli in inferno.
Le tue carceri sono vuote ma non mi sembri contenta.
Hai ripreso le tue funzioni di tranquilla isola per turisti spensierati, ma non mi sembri spensierata. Le tue baie hanno ripreso a cantare ma non mi sembri allegra.
Sul tuo porto, lussuoso, plana il fischio di cento vecchi pescherecci arrugginiti persi in mezzo all'immensità del mare.
In mezzo ai corpi abbronzati stesi sulle tue spiagge, giacciono i fantasmi di tanti naufraghi.
Eccoti qua! Hai tutto per esserlo ma non mi sembri felice.
Vedo un velo, leggero, quasi impercettibile, coprire il tuo sorriso commerciale.
Da simbolo della bontà, hanno fatto di te la roccaforte della cattiveria.
Ma la colpa non può essere tua.
Tu sei solo molto piccola e l'impero è troppo potente... troppo spietato.
Una goccia di terra in mezzo ad un mare d'acqua.
8 mila abitanti e pochi ettari, in mezzo a due continenti.
Uno troppo ricco l'altro troppo povero.
E tu lì in mezzo... Cosa hanno fatto di te?!
*di Karim Metref
Goccia di terra in mezzo a tanta acqua. Goccia di speranza in mezzo a un mare di guai.
Regina delle illusioni. Luce di tante falene.
Specchio di innumerevoli allodole.
Eccoti qua di fronte a me.
Pezzo d'Europa strappato all'Africa in qualche vicenda dimenticata della storia.
Porta dell'impero. Frontiera dell'opulenza.
Quante menti ti hanno sognata in mezzo al mare come l'ultima salvezza?
Quanti corpi bruciati dal sole e dal sale si sono trascinati verso le tue rive?
Quanti ti sono arrivati e quanti mai?
Destino terribile il tuo, Lampedusa.
Destino terribile quello di portare sulle tue magre spalle il destino di così tanti disperati.
Missione terribile quella di fungere da porta ad una fortezza così grande, così attraente.
8 mila abitanti e pochi ettari, in mezzo a due continenti.
Uno troppo ricco, l'altro troppo povero.
E tu, lì in mezzo, senza sapere cosa fare.
Oggi le tue carceri sono vuote. Oggi non si butta nessuno tra le tue braccia salvifiche.
Oggi l'impero ha deciso di sollevarti del peso dei dannati che ti cercavano come la salvezza... rimandandoli in inferno.
Le tue carceri sono vuote ma non mi sembri contenta.
Hai ripreso le tue funzioni di tranquilla isola per turisti spensierati, ma non mi sembri spensierata. Le tue baie hanno ripreso a cantare ma non mi sembri allegra.
Sul tuo porto, lussuoso, plana il fischio di cento vecchi pescherecci arrugginiti persi in mezzo all'immensità del mare.
In mezzo ai corpi abbronzati stesi sulle tue spiagge, giacciono i fantasmi di tanti naufraghi.
Eccoti qua! Hai tutto per esserlo ma non mi sembri felice.
Vedo un velo, leggero, quasi impercettibile, coprire il tuo sorriso commerciale.
Da simbolo della bontà, hanno fatto di te la roccaforte della cattiveria.
Ma la colpa non può essere tua.
Tu sei solo molto piccola e l'impero è troppo potente... troppo spietato.
Una goccia di terra in mezzo ad un mare d'acqua.
8 mila abitanti e pochi ettari, in mezzo a due continenti.
Uno troppo ricco l'altro troppo povero.
E tu lì in mezzo... Cosa hanno fatto di te?!
*di Karim Metref
Esiliato italiano in Italia
In Fondo degli scrittoriMi chiamo Armando Gnisci e sono contento di essere stato invitato come scrittore – ho scritto molto nella mia vita, anche se più che altro di critica letteraria – a presentare e donare un testo per il 1 marzo del 2010, il giorno indimenticabile della protesta degli immigrati in Italia.
Cammino con loro da venti anni e i pochi amici che ho sono stranieri o italiani amici degli stranieri. Infatti, mi sono sempre più sentito lungo lo scorrere dei miei 64 anni un esiliato di nascita italiana in Italia.
Sono vecchio ormai e malato mentale e devo confessarvi che sto vivendo la parte finale della mia esistenza come la peggiore delle vite che ho vissuto dagli anni 50 ad oggi – degli anni 40 ho solo qualche ricordo di infanzia, perso nella nebbia in bianco e nero di quegli anni che nei libri prendono la definizione di “dopoguerra”. L’età attuale da 20 anni a questa parte in Italia è diventata sempre più piena e mai finisce di diventare stracolma di violenza e menzogna, di decadenza e ingiustizia. Far parte di un popolo dannato e senza giudizio che ha dato il potere a un malfattore – nel senso di “fatto dal male” e di “facente il male” – mi angoscia e impoverisce sempre di più.
Non penso di essere di quelli che parlano vanamente del “si stava meglio quando si stava peggio”, io sento in tutte le mie corde – quella del pensiero critico e quella della anarchia purificatrice, quella della tenerezza e quella dell’insegnare, quella del fare ed inventare e quella del disagio – che questa è l’età peggiore che mi poteva capitare in vecchiaia. Resisto e continuo ad accordare le mie corde, resisto e non cedo alla malattia, oltre che all’orrore.
E un’altra cosa so di certo, che da venti anni a fianco al male che avanza e non è mai bastante, avanza anche un bene inaspettato e sorprendente: l’arrivo e la vicenda degli stranieri migranti in Italia e la nostra amicizia da allora, camminando a fianco suonando tutte le corde che sappiamo suonare insieme.
Armando Gnisci
Cammino con loro da venti anni e i pochi amici che ho sono stranieri o italiani amici degli stranieri. Infatti, mi sono sempre più sentito lungo lo scorrere dei miei 64 anni un esiliato di nascita italiana in Italia.
Sono vecchio ormai e malato mentale e devo confessarvi che sto vivendo la parte finale della mia esistenza come la peggiore delle vite che ho vissuto dagli anni 50 ad oggi – degli anni 40 ho solo qualche ricordo di infanzia, perso nella nebbia in bianco e nero di quegli anni che nei libri prendono la definizione di “dopoguerra”. L’età attuale da 20 anni a questa parte in Italia è diventata sempre più piena e mai finisce di diventare stracolma di violenza e menzogna, di decadenza e ingiustizia. Far parte di un popolo dannato e senza giudizio che ha dato il potere a un malfattore – nel senso di “fatto dal male” e di “facente il male” – mi angoscia e impoverisce sempre di più.
Non penso di essere di quelli che parlano vanamente del “si stava meglio quando si stava peggio”, io sento in tutte le mie corde – quella del pensiero critico e quella della anarchia purificatrice, quella della tenerezza e quella dell’insegnare, quella del fare ed inventare e quella del disagio – che questa è l’età peggiore che mi poteva capitare in vecchiaia. Resisto e continuo ad accordare le mie corde, resisto e non cedo alla malattia, oltre che all’orrore.
E un’altra cosa so di certo, che da venti anni a fianco al male che avanza e non è mai bastante, avanza anche un bene inaspettato e sorprendente: l’arrivo e la vicenda degli stranieri migranti in Italia e la nostra amicizia da allora, camminando a fianco suonando tutte le corde che sappiamo suonare insieme.
Armando Gnisci
L'Italia vista dai bambini stranieri
L'Italia e gli italiani visti dai bambini immigrati. Un'antologia divertente, ma anche tenera, spiazzante e dolorosa, di pensieri raccolti in vent'anni di insegnamento da un maestro elementare, Giuseppe Caliceti di Reggio Emilia. "Italiani, per esempio" è il titolo del suo libro (dal 10 febbraio per Feltrinelli, pp 240, euro 14) nel quale le frasi dei bambini sono accompagnate da storie, testimonianze e riflessioni dell'autore e dei suoi alunni.
Il Venerdì in edicola con Repubblica dedica la sua copertina al tema del razzismo visto e vissuto dai bambini con
interviste ad esperti e servizi di Paolo Casicci, Emilio Marrese e Paola Zanuttini sugli sbarchi dei nuovi piccoli clandestini al porto di Ancona, sull'integrazione nella scuola primaria e sulla vita in strada a Roma di centinaia di minorenni stranieri senza tetto né famiglia.
Ecco una piccola antologia di frasi dei bambini stranieri.
Gli italiani, secondo me, alcuni, sono un po' troppo perfettini. Invece gli immigrati sono meno perfettini e si accontentano di più. (Ada, 10 anni, Camerun)
Oggi Carlo ha scritto sul mio astuccio: "Ti odio!". Io però non sono né offesa né felice perché ci sono abituata. (Vera, 9 anni, Albania)
Io qui in Italia sono nuova. Io prima avevo paura di non parlare, di non imparare. Poi non sapevo se le maestre e gli altri bambini e le bambine mi volevano o no. Ma dopo hanno fatto una festa per me, hanno detto il mio nome e insomma, adesso qui nella scuola in Italia sto benissimo. Adesso lo so che mi vogliono. Io lo so perché me lo dicono. Forse me lo dicevano anche prima, ma io non capivo bene.
(Laila, 7 anni, Egitto)
Una cosa che mi dà fastidio di alcuni compagni di classe italiani è questa: se loro mi regalano una palla e dopo un giorno dicono che non mi hanno regalato la palla e la riprendono. E dicono che io non ho capito bene. Ma io ho capito benissimo. (Jo, 10 anni, Repubblica Dominicana)
Loro sono persone italiane che il capo è un italiano. Lui alla tv parla un po' male perché è malato, ha la faccia
storta. Loro vogliono mandare via dall'Italia tutti gli uomini, le donne e i bambini non italiani. Oppure anche quelli come me che sono nata in Italia ma i miei genitori e dei miei fratelli e sorelle grandi no. Loro sono contro tutti tranne loro. Loro si chiamano Lega Nord e sono contro il Sud, l'Ovest e l'Est. (Naima, 11 anni, Marocco)
Italiani sono brava gente, però per me delle volte sono un po' troppo agitati. Delle volte loro urlano troppo, per esempio quando fanno gol alla partita. Loro sono bravi a cantare, ma non tutti. Poi a scuola alcuni bambini italiani ti vogliono baciare che tu non sai neppure chi sono.
(Sana, 6 anni, Albania)
Sono bassi, simpatici, allegri, sempre alla moda. Gli italiani assomigliano agli albanesi. (Vera, 9 anni, Albania)
Nessuno era mai la mia migliore amica, invece dopo è arrivata. Io ho capito che se vuoi diventare amica di una bambina italiana (o anche non italiana) tu non devi tirare dei sassi a lei. (Sheela, 6 anni, Sri Lanka)
Le mamme dell'Italia trattano i figli un po' da piccoli anche se sono più grandi, invece io ho capito subito che dovevo arrangiarmi da sola. (Olga, 11 anni, Togo)
Certe volte degli italiani, non dico tutti, sono un pochino arroganti. Cioè si sentono superiori, vogliono avere sempre ragione, si sentono i padroni del mondo solo perché i loro parenti sono italiani. (Dinkar, 11 anni, Sri Lanka)
Io dico sempre a mia mamma e anche a mio padre di imparare un po' meglio l'italiano per non farmi fare brutte figure, ma loro lavorano sempre e non imparano mai a parlare bene, per questo io delle volte mi vergogno a andare in giro con loro. (Vera, 10 anni, Albania)
Un bambino pensa che io ho la pelle così perché mi sono colorata con un pennarello. E se io lavo la mia faccia bene, dopo divento bianca. Ma alla fine fanno tutti le domande. Dicono: "Perché non ti scancelli?". Dicono: "Di che colore è il tuo sangue?". Dicono: "Veh, ma tu fai la cacca nera?". Dicono così perché sono piccoli, non sono
cattivi. Loro appena vedono la pelle un po' nera pensano che tutto è nero, ma non è così. Io non mi arrabbio, perché a loro la maestra deve ancora insegnare tutto, sono troppo piccoli. Poi io non ho mai visto una cacca bianca, nessuno la vede, non esiste! (Ines, 9 anni, Repubblica Dominicana)
Io ho capito che se tu impari a giocare e a sapere del calcio è più facile che i bambini in Italia sono miei amici perché in Italia tutti parlano sempre del calcio. (Tong, 8 anni, Cina)
L'Italia per me è come una casa. Ha il clima abbastanza caldo, solo che sulle Alpi non ha messo il riscaldamento.È una casa pulita, ma in alcune stanze e in cantina c'è disordine e sporcizia. Nella casa ci abitano persone un po' gentili e un po' meno. I pavimenti di questa casa li lava l'acqua del mare. (Tasneem,10 anni, Pakistan)
Per me se si amano fanno bene a sposarsi anche se lui è nero e lei è bianca, non vuol dire niente il colore, perché anche chi viene dall'estero è una persona, non un animale. Però il marito e la moglie si devono mettere d'accordo molto bene sul mangiare, sulla religione e sulla educazione dei figli, perché magari avevano delle abitudini diverse e perciò per mettersi d'accordo devono parlare un po' di più, altrimenti dopo ci sono dei casini e anche
dei litigi. Ma ci possono essere casini anche se la madre e il padre sono tutti e due italiani, infatti in Italia ci sono molti matrimoni non misti ma anche molti divorzi. (Kumari, 10 anni, Pakistan)
Mio fratello mi aveva detto che se lui vuole andare in discoteca, lui qui in Italia non può andarci. Non perché è piccolo, ma perché è straniero. Perché a Reggio Emilia e a Parma nelle discoteche a ballare ci vogliono solo degli italiani. Però se sei una femmina, una ragazza, ci puoi andare anche se sei marocchina. Ma solo se sei bella. (Omar, 11 anni, Marocco)
Io so fare il gentile perché mia mamma mi ha detto che se faccio il gentile forse dopo dei signori e delle signore italiane ti aiutano di più. (Roberto, 10 anni, Repubblica Dominicana)
Un mio amico italiano di questa scuola, che non dico il nome, lui dice sempre che lui non va mai ai ristoranti cinesi perché i cinesi mangiano i gatti. Io dico che non è vero e lui dice che a lui lo ha detto sua mamma, perché sua mamma aveva letto sopra un giornale italiano e sopra quel giornale c'era scritto così. Io non so proprio che giornali ci sono in Italia! (Tong, 10 anni, Cina)
Io sono nata in Italia, a Montecchio, però mia mamma e mio papà sono albanesi e anche io allora sono albanese.
Io ho fatto l'asilo qui, la scuola qui. Io vorrei chiedere al maestro due cose. La prima cosa è questa: io sono italiana o albanese o tutti e due? La seconda: ma io sono immigrata o no? (Vera, 11 anni, Albania)
Per me infatti l'Italia è proprio come io mi ero immaginato. Infatti è piena di cose bellissime ma anche di tanta spazzatura. (Azizi, 9 anni, Senegal)
In Italia ci sono due re: un re è Berlusconi, l'altro re è il Papa. Berlusconi comanda l'Italia, il Papa comanda gli italiani. (Lili, 9 anni, Cina)
Gli italiani sono americani, però sono nati in Italia, non in America, per questo parlano italiano. Quando io dopo vado tanto a scuola in Italia e imparo bene l'italiano però non divento americana, perché sono nata in Marocco, io sono araba, io sono marocchina. Io allora divento un po' italiana e un po' marocchina. (Faiza, 10 anni, Marocco)
Mia mamma delle volte dice sempre che a scuola io e i miei fratelli e le mie sorelle non dobbiamo mai parlare della nostra religione, allora io una volta avevo chiesto a lei perché e lei ha detto che è meglio di no perché gli italiani non capiscono la nostra religione. (Naima, 9 anni, Marocco)
Io non ho la pelle bianca, è vero, ma non ho neanche la pelle nera, perché la mia pelle è marroncina. I negri hanno la pelle nera e io non sono negro, sono arabo. Il colore della mia pelle è diverso da loro e un po' è diverso anche dagli italiani. Secondo me se il colore era nero per me era peggio. (Omar, 9 anni, Marocco)
In Italia invece i matrimoni sono molto raffinati, ma durano poco. (Laila, 9 anni, Egitto)
A me se c'è questa croce e basta non dà fastidio, se però c'è attaccato il morto mi sembra un po' brutto perché mentre mangi vedi sempre questo Dio che muore e per me non è una cosa bella. (Naima, 7 anni, Marocco)
Se tu sei nata in un paese e dopo vieni a abitare in un paese lontano, come me, ti senti un po' strana, ti senti un po' come se sei un neonato, perché tu sei già nato in Sri Lanka come sono nata io, però se vieni in Italia sai camminare, ma non sai parlare italiano, poi devi cambiare il modo di mangiare perché non trovi il nostro cibo. (Sheela, 9 anni, Sri Lanka)
Allora se dopo un italiano è stato in Francia, in America, in Polonia, in Cina, in Africa, in un altro posto del mondo, è giusto che dopo vengono tutti in Italia. Se sono in vacanza ma anche se non sono in vacanza. Anchese vogliono comprare una casa in Italia. Non possono? Per me possono. Altrimenti dopo il mondo come diventa? Un mondo obbligato? (Raja, 11 anni, Egitto)
In Italia ci sono uomini che odiano tutti gli altri uomini e donne e bambini venuti da fuori, ma soprattutto gli albanesi perché dicono che noi siamo ladri. Loro dicono così perché noi siamo più poveri. E uno ricco ha sempre paura di un povero, ha paura di essere rubato. Però non tutti i poveri e gli albanesi sono ladri, dico io. Altrimenti quanti ladri ci sono? (Genti, 8 anni, Albania)
Caro diario, oggi è bruttissimo essere in questa classe. Scommetto che se non ero albanese tutti sarebbero stati miei amici. Invece io adesso ho solo due amiche. (Sana, 11 anni, Albania)
Ci sono dei ragazzi italiani amici di mio padre che dicono: "Se ci sono troppi stranieri come te, questo non è più il nostro paese". Per me invece il paese è sempre uguale, perché i posti sono fermi, i paesi sono fermi. (Kumari, 9 anni, Pakistan)
Io ho i miei genitori che sono nati in Tunisia e io sono nata però in Italia, allora quale è la mia patria? Sempre l'Italia oppure è la Tunisia anche per me? Oppure tutte e due? Oppure nessuna patria? (Zahira, 11 anni, Tunisia)
Gli italiani per me sono abbastanza patriottici. I maschi, soprattutto. Perché quando c'è la Nazionale di calcio, se vince, loro vanno in giro per le strade con le macchine a fare casino con la bandiera dell'Italia perché ha vinto la partita. Una cosa che non ho capito è questa: e se perde? (Daniel, 11 anni, Albania)
I lavori più leggeri sono degli italiani perché sono arrivati prima in Italia. (Isham, 8 anni, Marocco)
I bambini non sono migrati in Italia, sono portati, perché li portano i loro genitori. Se era per me, io qui non ci venivo. (Sheela, 9 anni, Sri Lanka)
Certe volte io non capisco bene quella gente che dice tu sei albanese, tu sei indiano, tu sei italiano, tu sei rumeno. Cosa vuol dire? Io adesso sono qui, in Italia. (Damian, 10 anni, Romania)
I ragazzi italiani per me si credono i più furbi perché loro sono nati subito in Italia, hanno i genitori italiani, sono
stati fortunati, sono nati nel paese giusto. Perché hanno sempre il cellulare in mano. Perché hanno il piercing e i tatuaggi. Perché fumano già alle medie. Io non dico niente a loro, se loro sono felici a credersi furbi cosa posso dire io? (Nassor, 12 anni, Senegal)
In alcuni paesi dell'Italia secondo me ci sono le strade un po' sporche, poi c'è anche un po' di razzismo: lo sporco nei paesi più poveri, il razzismo nei paesi più ricchi. (Damian, 10 anni, Romania)
Io voglio dire al maestro che non voglio stare col banco vicino a lui tutto il mese perché io ho i miei amici preferiti. Io lo so che noi dobbiamo abituarci a stare con tutti, ma io posso avere le mie preferenze, no? Oppure non le posso avere? Non posso avere neanche un migliore amico? Io preferisco non stare col banco vicino a lui non perché è cinese, ma perché ci sono già stato tutto il mese scorso e lui sputa, calcia, mi fa cadere le matite, mi dà i pizzicotti. Anche se lui era italiano io non ci volevo stare. Poi io sono tunisino anche io, perciò in Italia posso essere razzista se lui è cinese? Non credo, perché siamo tutti e due stranieri. (Alì, 10 anni, Tunisia)
I razzisti sono persone che non vogliono bene alle persone che vengono in Italia e non sono nate in Italia e allora gli dicono: "Torna a casa!". Poi loro si credono più intelligenti, ma non è vero. (Nabil, 9 anni, Marocco)
Se però tutta la gente che è morta risorge, ci sono case per tutti? (Fatima, 10 anni, Tunisia)
Secondo me i bambini, se non sapevano che erano nati tutti in paesi diversi, era più facile andare d'accordo. Anche da grandi. (Damian, 10 anni, Romania)
Se tu mi chiedi se io sto bene in Italia io non so rispondere perché non ho ancora capito se in Italia, i bambini italiani, dico, le donne, i signori, mi vogliono oppure no, perché delle volte mi sembra che mi vogliono e delle volte invece sento della gente che dice di andare via e mi guarda storto e allora se non mi vogliono io non posso stare molto bene. Se per caso tu vai in un altro posto e non sono contenti che sei anche tu in quel posto, tu dopo come stavi? Bene o male? Non lo sai. (Manuel, 8 anni, Filippine)
Ci sono italiani di molti tipi: alti, bassi, biondi, bravi, cattivi. Come i cinesi. Però loro sono un po' ignoranti, non lo sanno. Loro pensano che tutti i cinesi sono uguali perché non hanno viaggiato come me. (Tong, 9 anni, Cina)
A Santo Domingo la gente si picchia di più, i più grandi picchiano i più piccoli e anche i grandi tra loro, però sei anche più allegro che in Italia, più rilassato, ti sfoghi di più, puoi anche cantare di notte e non viene subito la polizia come qui, perché qui siete più tristi anche se nessuno vi picchia. (Roberto, 10 anni, Repubblica Dominicana)
In Italia sono diverso io, perché è naturale, in Italia quasi tutti i bambini sono italiani, ma se un bambino
italiano viene in vacanza in Marocco è diverso lui, perché là quasi tutti i bambini sono arabi, nelle scuole arabe non ci sono i bambini italiani, neanche svizzeri, neanche africani, allora io dico: "Noi siamo tutti uguali e diversi, dipende solo dove sei nato e dove vai a abitare!". (Omar, 9 anni, Marocco)
Io non capisco bene perché tanti bambini italiani prendono una zucca per Halloween se Halloween è una festa americana e non italiana. Allora perché non fanno anche la festa del Ramadan? Solo Halloween? Solo perché a scuola noi impariamo inglese? (Milena, 10 anni, Albania)
Il Venerdì in edicola con Repubblica dedica la sua copertina al tema del razzismo visto e vissuto dai bambini con
interviste ad esperti e servizi di Paolo Casicci, Emilio Marrese e Paola Zanuttini sugli sbarchi dei nuovi piccoli clandestini al porto di Ancona, sull'integrazione nella scuola primaria e sulla vita in strada a Roma di centinaia di minorenni stranieri senza tetto né famiglia.
Ecco una piccola antologia di frasi dei bambini stranieri.
Gli italiani, secondo me, alcuni, sono un po' troppo perfettini. Invece gli immigrati sono meno perfettini e si accontentano di più. (Ada, 10 anni, Camerun)
Oggi Carlo ha scritto sul mio astuccio: "Ti odio!". Io però non sono né offesa né felice perché ci sono abituata. (Vera, 9 anni, Albania)
Io qui in Italia sono nuova. Io prima avevo paura di non parlare, di non imparare. Poi non sapevo se le maestre e gli altri bambini e le bambine mi volevano o no. Ma dopo hanno fatto una festa per me, hanno detto il mio nome e insomma, adesso qui nella scuola in Italia sto benissimo. Adesso lo so che mi vogliono. Io lo so perché me lo dicono. Forse me lo dicevano anche prima, ma io non capivo bene.
(Laila, 7 anni, Egitto)
Una cosa che mi dà fastidio di alcuni compagni di classe italiani è questa: se loro mi regalano una palla e dopo un giorno dicono che non mi hanno regalato la palla e la riprendono. E dicono che io non ho capito bene. Ma io ho capito benissimo. (Jo, 10 anni, Repubblica Dominicana)
Loro sono persone italiane che il capo è un italiano. Lui alla tv parla un po' male perché è malato, ha la faccia
storta. Loro vogliono mandare via dall'Italia tutti gli uomini, le donne e i bambini non italiani. Oppure anche quelli come me che sono nata in Italia ma i miei genitori e dei miei fratelli e sorelle grandi no. Loro sono contro tutti tranne loro. Loro si chiamano Lega Nord e sono contro il Sud, l'Ovest e l'Est. (Naima, 11 anni, Marocco)
Italiani sono brava gente, però per me delle volte sono un po' troppo agitati. Delle volte loro urlano troppo, per esempio quando fanno gol alla partita. Loro sono bravi a cantare, ma non tutti. Poi a scuola alcuni bambini italiani ti vogliono baciare che tu non sai neppure chi sono.
(Sana, 6 anni, Albania)
Sono bassi, simpatici, allegri, sempre alla moda. Gli italiani assomigliano agli albanesi. (Vera, 9 anni, Albania)
Nessuno era mai la mia migliore amica, invece dopo è arrivata. Io ho capito che se vuoi diventare amica di una bambina italiana (o anche non italiana) tu non devi tirare dei sassi a lei. (Sheela, 6 anni, Sri Lanka)
Le mamme dell'Italia trattano i figli un po' da piccoli anche se sono più grandi, invece io ho capito subito che dovevo arrangiarmi da sola. (Olga, 11 anni, Togo)
Certe volte degli italiani, non dico tutti, sono un pochino arroganti. Cioè si sentono superiori, vogliono avere sempre ragione, si sentono i padroni del mondo solo perché i loro parenti sono italiani. (Dinkar, 11 anni, Sri Lanka)
Io dico sempre a mia mamma e anche a mio padre di imparare un po' meglio l'italiano per non farmi fare brutte figure, ma loro lavorano sempre e non imparano mai a parlare bene, per questo io delle volte mi vergogno a andare in giro con loro. (Vera, 10 anni, Albania)
Un bambino pensa che io ho la pelle così perché mi sono colorata con un pennarello. E se io lavo la mia faccia bene, dopo divento bianca. Ma alla fine fanno tutti le domande. Dicono: "Perché non ti scancelli?". Dicono: "Di che colore è il tuo sangue?". Dicono: "Veh, ma tu fai la cacca nera?". Dicono così perché sono piccoli, non sono
cattivi. Loro appena vedono la pelle un po' nera pensano che tutto è nero, ma non è così. Io non mi arrabbio, perché a loro la maestra deve ancora insegnare tutto, sono troppo piccoli. Poi io non ho mai visto una cacca bianca, nessuno la vede, non esiste! (Ines, 9 anni, Repubblica Dominicana)
Io ho capito che se tu impari a giocare e a sapere del calcio è più facile che i bambini in Italia sono miei amici perché in Italia tutti parlano sempre del calcio. (Tong, 8 anni, Cina)
L'Italia per me è come una casa. Ha il clima abbastanza caldo, solo che sulle Alpi non ha messo il riscaldamento.È una casa pulita, ma in alcune stanze e in cantina c'è disordine e sporcizia. Nella casa ci abitano persone un po' gentili e un po' meno. I pavimenti di questa casa li lava l'acqua del mare. (Tasneem,10 anni, Pakistan)
Per me se si amano fanno bene a sposarsi anche se lui è nero e lei è bianca, non vuol dire niente il colore, perché anche chi viene dall'estero è una persona, non un animale. Però il marito e la moglie si devono mettere d'accordo molto bene sul mangiare, sulla religione e sulla educazione dei figli, perché magari avevano delle abitudini diverse e perciò per mettersi d'accordo devono parlare un po' di più, altrimenti dopo ci sono dei casini e anche
dei litigi. Ma ci possono essere casini anche se la madre e il padre sono tutti e due italiani, infatti in Italia ci sono molti matrimoni non misti ma anche molti divorzi. (Kumari, 10 anni, Pakistan)
Mio fratello mi aveva detto che se lui vuole andare in discoteca, lui qui in Italia non può andarci. Non perché è piccolo, ma perché è straniero. Perché a Reggio Emilia e a Parma nelle discoteche a ballare ci vogliono solo degli italiani. Però se sei una femmina, una ragazza, ci puoi andare anche se sei marocchina. Ma solo se sei bella. (Omar, 11 anni, Marocco)
Io so fare il gentile perché mia mamma mi ha detto che se faccio il gentile forse dopo dei signori e delle signore italiane ti aiutano di più. (Roberto, 10 anni, Repubblica Dominicana)
Un mio amico italiano di questa scuola, che non dico il nome, lui dice sempre che lui non va mai ai ristoranti cinesi perché i cinesi mangiano i gatti. Io dico che non è vero e lui dice che a lui lo ha detto sua mamma, perché sua mamma aveva letto sopra un giornale italiano e sopra quel giornale c'era scritto così. Io non so proprio che giornali ci sono in Italia! (Tong, 10 anni, Cina)
Io sono nata in Italia, a Montecchio, però mia mamma e mio papà sono albanesi e anche io allora sono albanese.
Io ho fatto l'asilo qui, la scuola qui. Io vorrei chiedere al maestro due cose. La prima cosa è questa: io sono italiana o albanese o tutti e due? La seconda: ma io sono immigrata o no? (Vera, 11 anni, Albania)
Per me infatti l'Italia è proprio come io mi ero immaginato. Infatti è piena di cose bellissime ma anche di tanta spazzatura. (Azizi, 9 anni, Senegal)
In Italia ci sono due re: un re è Berlusconi, l'altro re è il Papa. Berlusconi comanda l'Italia, il Papa comanda gli italiani. (Lili, 9 anni, Cina)
Gli italiani sono americani, però sono nati in Italia, non in America, per questo parlano italiano. Quando io dopo vado tanto a scuola in Italia e imparo bene l'italiano però non divento americana, perché sono nata in Marocco, io sono araba, io sono marocchina. Io allora divento un po' italiana e un po' marocchina. (Faiza, 10 anni, Marocco)
Mia mamma delle volte dice sempre che a scuola io e i miei fratelli e le mie sorelle non dobbiamo mai parlare della nostra religione, allora io una volta avevo chiesto a lei perché e lei ha detto che è meglio di no perché gli italiani non capiscono la nostra religione. (Naima, 9 anni, Marocco)
Io non ho la pelle bianca, è vero, ma non ho neanche la pelle nera, perché la mia pelle è marroncina. I negri hanno la pelle nera e io non sono negro, sono arabo. Il colore della mia pelle è diverso da loro e un po' è diverso anche dagli italiani. Secondo me se il colore era nero per me era peggio. (Omar, 9 anni, Marocco)
In Italia invece i matrimoni sono molto raffinati, ma durano poco. (Laila, 9 anni, Egitto)
A me se c'è questa croce e basta non dà fastidio, se però c'è attaccato il morto mi sembra un po' brutto perché mentre mangi vedi sempre questo Dio che muore e per me non è una cosa bella. (Naima, 7 anni, Marocco)
Se tu sei nata in un paese e dopo vieni a abitare in un paese lontano, come me, ti senti un po' strana, ti senti un po' come se sei un neonato, perché tu sei già nato in Sri Lanka come sono nata io, però se vieni in Italia sai camminare, ma non sai parlare italiano, poi devi cambiare il modo di mangiare perché non trovi il nostro cibo. (Sheela, 9 anni, Sri Lanka)
Allora se dopo un italiano è stato in Francia, in America, in Polonia, in Cina, in Africa, in un altro posto del mondo, è giusto che dopo vengono tutti in Italia. Se sono in vacanza ma anche se non sono in vacanza. Anchese vogliono comprare una casa in Italia. Non possono? Per me possono. Altrimenti dopo il mondo come diventa? Un mondo obbligato? (Raja, 11 anni, Egitto)
In Italia ci sono uomini che odiano tutti gli altri uomini e donne e bambini venuti da fuori, ma soprattutto gli albanesi perché dicono che noi siamo ladri. Loro dicono così perché noi siamo più poveri. E uno ricco ha sempre paura di un povero, ha paura di essere rubato. Però non tutti i poveri e gli albanesi sono ladri, dico io. Altrimenti quanti ladri ci sono? (Genti, 8 anni, Albania)
Caro diario, oggi è bruttissimo essere in questa classe. Scommetto che se non ero albanese tutti sarebbero stati miei amici. Invece io adesso ho solo due amiche. (Sana, 11 anni, Albania)
Ci sono dei ragazzi italiani amici di mio padre che dicono: "Se ci sono troppi stranieri come te, questo non è più il nostro paese". Per me invece il paese è sempre uguale, perché i posti sono fermi, i paesi sono fermi. (Kumari, 9 anni, Pakistan)
Io ho i miei genitori che sono nati in Tunisia e io sono nata però in Italia, allora quale è la mia patria? Sempre l'Italia oppure è la Tunisia anche per me? Oppure tutte e due? Oppure nessuna patria? (Zahira, 11 anni, Tunisia)
Gli italiani per me sono abbastanza patriottici. I maschi, soprattutto. Perché quando c'è la Nazionale di calcio, se vince, loro vanno in giro per le strade con le macchine a fare casino con la bandiera dell'Italia perché ha vinto la partita. Una cosa che non ho capito è questa: e se perde? (Daniel, 11 anni, Albania)
I lavori più leggeri sono degli italiani perché sono arrivati prima in Italia. (Isham, 8 anni, Marocco)
I bambini non sono migrati in Italia, sono portati, perché li portano i loro genitori. Se era per me, io qui non ci venivo. (Sheela, 9 anni, Sri Lanka)
Certe volte io non capisco bene quella gente che dice tu sei albanese, tu sei indiano, tu sei italiano, tu sei rumeno. Cosa vuol dire? Io adesso sono qui, in Italia. (Damian, 10 anni, Romania)
I ragazzi italiani per me si credono i più furbi perché loro sono nati subito in Italia, hanno i genitori italiani, sono
stati fortunati, sono nati nel paese giusto. Perché hanno sempre il cellulare in mano. Perché hanno il piercing e i tatuaggi. Perché fumano già alle medie. Io non dico niente a loro, se loro sono felici a credersi furbi cosa posso dire io? (Nassor, 12 anni, Senegal)
In alcuni paesi dell'Italia secondo me ci sono le strade un po' sporche, poi c'è anche un po' di razzismo: lo sporco nei paesi più poveri, il razzismo nei paesi più ricchi. (Damian, 10 anni, Romania)
Io voglio dire al maestro che non voglio stare col banco vicino a lui tutto il mese perché io ho i miei amici preferiti. Io lo so che noi dobbiamo abituarci a stare con tutti, ma io posso avere le mie preferenze, no? Oppure non le posso avere? Non posso avere neanche un migliore amico? Io preferisco non stare col banco vicino a lui non perché è cinese, ma perché ci sono già stato tutto il mese scorso e lui sputa, calcia, mi fa cadere le matite, mi dà i pizzicotti. Anche se lui era italiano io non ci volevo stare. Poi io sono tunisino anche io, perciò in Italia posso essere razzista se lui è cinese? Non credo, perché siamo tutti e due stranieri. (Alì, 10 anni, Tunisia)
I razzisti sono persone che non vogliono bene alle persone che vengono in Italia e non sono nate in Italia e allora gli dicono: "Torna a casa!". Poi loro si credono più intelligenti, ma non è vero. (Nabil, 9 anni, Marocco)
Se però tutta la gente che è morta risorge, ci sono case per tutti? (Fatima, 10 anni, Tunisia)
Secondo me i bambini, se non sapevano che erano nati tutti in paesi diversi, era più facile andare d'accordo. Anche da grandi. (Damian, 10 anni, Romania)
Se tu mi chiedi se io sto bene in Italia io non so rispondere perché non ho ancora capito se in Italia, i bambini italiani, dico, le donne, i signori, mi vogliono oppure no, perché delle volte mi sembra che mi vogliono e delle volte invece sento della gente che dice di andare via e mi guarda storto e allora se non mi vogliono io non posso stare molto bene. Se per caso tu vai in un altro posto e non sono contenti che sei anche tu in quel posto, tu dopo come stavi? Bene o male? Non lo sai. (Manuel, 8 anni, Filippine)
Ci sono italiani di molti tipi: alti, bassi, biondi, bravi, cattivi. Come i cinesi. Però loro sono un po' ignoranti, non lo sanno. Loro pensano che tutti i cinesi sono uguali perché non hanno viaggiato come me. (Tong, 9 anni, Cina)
A Santo Domingo la gente si picchia di più, i più grandi picchiano i più piccoli e anche i grandi tra loro, però sei anche più allegro che in Italia, più rilassato, ti sfoghi di più, puoi anche cantare di notte e non viene subito la polizia come qui, perché qui siete più tristi anche se nessuno vi picchia. (Roberto, 10 anni, Repubblica Dominicana)
In Italia sono diverso io, perché è naturale, in Italia quasi tutti i bambini sono italiani, ma se un bambino
italiano viene in vacanza in Marocco è diverso lui, perché là quasi tutti i bambini sono arabi, nelle scuole arabe non ci sono i bambini italiani, neanche svizzeri, neanche africani, allora io dico: "Noi siamo tutti uguali e diversi, dipende solo dove sei nato e dove vai a abitare!". (Omar, 9 anni, Marocco)
Io non capisco bene perché tanti bambini italiani prendono una zucca per Halloween se Halloween è una festa americana e non italiana. Allora perché non fanno anche la festa del Ramadan? Solo Halloween? Solo perché a scuola noi impariamo inglese? (Milena, 10 anni, Albania)
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