di Stefania Ragusa (Coordinamento nazionale Primo Marzo)
Gli immigrati vengono qui a fare lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma sempre più spesso anche a difendere diritti che agli italiani non interessa più difendere o di cui non capiscono più l’importanza: come quello ad avere una vita dignitosa e un lavoro pagato in modo equo, come quello a non subire la prepotenza delle mafie. Lo sciopero delle rotonde dell'8 ottobre e la manifestazione a Caserta, il giorno dopo, lo hanno mostrato in modo chiaro.
Le rotonde sono quelle di Casal di Principe, Scampìa, Castelvolturno, Pianura, Giugliano... Terre di nessuno dove alle cinque del mattino l’offerta di manodopera straniera a bassissimo costo si incrocia con la domanda dei caporali. Ieri sono state “occupate” da circa duemila lavoratori (regolari e irregolari, quasi tutti africani) che hanno rotto gli indugi e messo al collo eloquenti cartelli: «oggi io non lavoro per meno di 50 euro». La protesta, organizzata dal movimento migranti e rifugiati di Caserta, con le associazioni antirazziste campane, è stata accolta con sufficienza dai caporali ma in realtà segna un passaggio importantissimo. Ha suscitato curiosità tra la gente e solidarietà tra gli autoctoni. Qualcuno ha cominciato a capire: i ragazzi con i cartelli al collo (che hanno rischiato tanto, soprattutto quelli senza documenti) non si stavano battendo solo per se stessi. Razzismo e clandestinità rappresentano l’humus dove meglio attecchisce la mala pianta del lavoro nero, che serve ad abbassare sempre più il costo del lavoro e azzerare la conflittualità sindacale. Le politiche razziste, le leggi che fingono di contrastare la clandestinità ma in realtà la favoriscono (vedi la Bossi-Fini) non sono frutto dell’ignoranza ma funzionali alla costruzione di un nuovo modello sociale. Un modello che non prevede welfare e pari opportunità, riconoscimento dei diritti e vincoli di solidarietà, ma si basa sulla competizione e l’individualismo sfrenato e che purtroppo non è lì da venire: 16 anni di berlusconismo gli hanno già aperto la strada. Gli immigrati sono stati e continuano a essere il “luogo” in cui le politiche repressive vengono sperimentate prima di essere applicate ad altri segmenti della società, a partire dai più vulnerabili. Per questo, e non solo per ragioni etiche o di umana solidarietà, la loro ribellione riguarda tutti. Lo stesso vale per le loro richieste di equità, come quelle presentate a Caserta: la cittadinanza basata sullo ius solis e il diritto di voto amministrativo, una nuova sanatoria aperta a tutti i lavoratori, il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, l’estensione dell’articolo 18, il rifiuto di costruire un Cie in Campania. Una democrazia che ignori a priori le richieste di una parte significativa della sua popolazione o somministri in modo discrezionale i diritti universali è implicitamente zoppa. Lo sciopero delle rotonde come già la Giornata senza di noi dello scorso primo marzo hanno visto italiani e stranieri vicini e consapevoli della necessità di combattere insieme. Questa vicinanza, questa consapevolezza sono la premessa per cominciare a erodere le ingiustizie del presente.
*pubblicato su Ucuntu del 10/10/2010
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