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Fausto Bertinotti sul Primo marzo

lunedì 1 marzo 2010

Riceviamo e volentieri pubblichiamo alcuni stralci dell’editoriale di Fausto Bertinotti che sarà pubblicato integralmente sul numero 12 di “alternative per il socialismo” in uscita il prossimo 15 marzo.

PRIMO MARZO 2010: ROSARNO E LA SINISTRA CHE NONC’È
Dopo aver dedicato il numero scorso alla “solitudine dei conflitti” torniamo, in questo numero, ad indagare le lotte per grandi aggregati e otteniamo una drammatica conferma della condizione di isolamento in cui esse versano. Proviamo questa volta a mettere in rapporto le solitudini con la politica e il sindacato, per capire come la loro crisi, di diversa natura e intensità, e però generale, incida profondamente e, per un verso, sia la causa prima di quelle solitudini. Proviamo anche a “cercare ancora”, a scavare sui grandi temi che la crisi economica, strutturale e sistemica dell’economia della globalizzazione capitalistica metterebbe all’ordine del giorno, se vivesse in Europa una qualche forza di alternativa e che, in ogni caso, possono costituire, se arati, sia con una ricerca partecipata, che con l’azione sociale, i terreni per la sua ricostruzione. Ma mentre prosegue questo nostro lavoro sul fondo dei processi, non possiamo saltare gli appuntamenti che ci si parano innanzi, che non possono essere approfonditi altrimenti che facendo fuoco con la legna di cui, allo stato dell’arte, disponiamo, ma, contemporaneamente, proponendoci, nel cimento con questi eventi, di aggiornare i nostri strumenti analitici, di mettere alla prova l’interpretazione della fase, di innovare gli apparati teorici e conoscitivi di cui disponiamo e di contribuire a fare i primi passi nell’uscita dalla devastante crisi in cui versa la sinistra in Italia. Così affrontiamo il congresso della CGIL il cui esito peserà parecchio sul futuro del sindacato e dell’intera sinistra.
Non ci pare, al contrario, che un evento di questa portata sia affrontato dalla politica con l’impegno che richiederebbe. Purtroppo non c’è da stupirsi. Ci sono persino eventi a cui capita di peggio: Rosarno. Quel che lì è accaduto, in un giorno di gennaio di quest’anno appena cominciato, è enorme. Non è solo un fatto che interroga la politica; questo è tanto ovvio, quanto è desolante la povertà delle risposte ottenute. Quel che è accaduto è un fatto che chiederebbe un cambiamento profondo della politica della sinistra sociale e politica: un fatto che propone drammaticamente l’esigenza di una svolta nel suo modo di pensare e di agire, nel suo modo di leggere la realtà sociale del paese e i suoi protagonisti. Invece non è accaduto niente. Ma così le cose non rimangono neppure com’erano prima, e già era grave; così si consuma una nuova tragedia sociale. Neanche siamo stati capaci di fare quel che avevamo saputo fare venti anni fa, quando il fenomeno dell’immigrazione, pur già rilevante, era assai lontano da quel che è diventato oggi, cambiando nel fondo la composizione etnica, culturale e religiosa del paese. Era il 24 agosto del 1989 a Villa Literno, un centro dell’agro aversano dove l’immigrazione irregolare è cresciuta da allora negli anni fino a raggiungere il numero attuale di oltre ventimila, molti dei quali continuano a vivere come schiavi tiranneggiati dai caporali e dalla camorra. A poca distanza, a Castel Volturno, quasi venti anni dopo, il 18 settembre del 2008, un commando della Camorra esplode, su un piazzale, 130 proiettili dai kalashnikov e stermina sei migranti africani. Già dimenticati, come già il silenzio si sta chiudendo su Rosarno. Era il 24 agosto del 1989 aVilla Literno e, invece, allora, quel giorno non fu archiviato. In quel giorno Jerry Masslo viene ucciso in un casolare abbandonato dove andava a dormire insieme ad altri 30 immigrati. Quattro persone incappucciate, in un’incursione per effettuare una rapina, sparano e lo uccidono, ferendo due altri suoi compagni. Jerry Masslo è un militante del movimento antiapartheid; ha perso il padre e la figlia di sette anni uccisi in una manifestazione contro il regime di Pretoria. E’ un rifugiato politico. Vive a Roma e lavora come bracciante stagionale nelle raccolte sulle terre della Campania. Il paese è attraversato da una grande emozione. La Rai trasmette i funerali di Masslo in diretta televisiva. Diventano più conosciute le parole che Jerry Masslo aveva pronunciato in un’intervista qualche giorno prima di essere ucciso: “Quello che ho sperimentato in Sudafrica non voglio vederlo qui in Italia. C’è proprio qualcosa che sta accadendo qui in Italia. Nessun nero, nessun africano dimentica cos’è il razzismo. E io lo sto sperimentando qui in Italia. Ho visto con i miei occhi cose che non dovrebbero accadere qui in Italia”.
Il suo Sudafrica uscirà da quella condizione, a cominciare dalla liberazione di Nelson Mandela che avverrà pochi mesi dopo la sua morte. Purtroppo per noi, invece, in Italia la situazione dei migranti non cambierà. Lo Stato continua a disertare i luoghi della segregazione a cui il comando della malavita organizzata ha guadagnato ampi spazi, interi territori sottratti alla legge della Repubblica, mentre la sua legislazione è ben peggiorata rispetto a quella prima legge italiana sull’immigrazione (la legge Martelli) che fu approvata poco tempo dopo l’assassinio di Masslo e che, pure, noi abbiamo criticato. Ma ben diversa fu allora la capacità di reazione del paese, dei movimenti e delle organizzazioni sociale e politiche. Un mese dopo quel 24 agosto a Roma si svolge la prima grande manifestazione nazionale contro il razzismo. Cinquecentomila persone sfilano in un gigantesco corteo, frutto di una mobilitazione diffusa, di massa. Il sindacato è un soggetto attivo della mobilitazione. Nascono associazioni che si mettono al lavoro per tessere processi di unità tra il mondo del lavoro, i giovani e gli immigrati. Giovani immigrati, spesso laureati e politicizzati, diventano quadri sindacali influenti. Da Villa Literno non si fugge né la si dimentica. “Nero e non solo”, un’associazione di volontariato di sinistra, lancia a Villa Literno la costituzione del “Villaggio della Solidarietà”. Nasce un campo che diventa un centro di aggregazione. CGIL, CISL e UIL allestiscono nel Villaggio il “camper dei diritti”. Si rivendica al governo la costituzione di una “authority” per Villa Literno e per situazioni analoghe per coordinare misure per l’accoglienza e la regolarizzazione, anche di emergenza, con interventi strutturali sul mercato del lavoro e di sicurezza per i migranti. Ieri. E oggi? Oggi, Rosarno è già tornata nell’ombra. Eppure quel che è emerso lì è enorme. C’è stata una rivolta degli schiavi, una rivolta nera. Neri e schiavi, di nuovo come un tempo che era sembrato, dalla storia, confinato nel passato di un’altra parte del mondo. Eppure non c’è un moto, non c’è un’ondata di indignazione. Si vedono le violenze della rivolta, non le violenze sistematiche a cui gli schiavi sono sottoposti. O almeno così appare ad una parte significativa dell’opinione pubblica organizzata, dell’informazione, della politica. L’azione di contrasto non è all’altezza della sfida. Se da destra non viene la denuncia della “racaille”, viene però la denuncia (incredibile!) dell’eccesso di accoglienza e complicità con l’immigrato. La rivolta è il prodotto di un lungo accumulo di violenze subite, dell’esistenza nel territorio di una diffusa complicità con gli aggressori, dell’impossibilità di ricorrere alla legge per tutelare i propri diritti di persona e di lavoratore, della costrizione di vivere nell’assenza di diritti e nell’illegalità organizzata e oppressiva. Come nella storia degli antenati, ma dentro una modernità cinica ed escludente.
Rosarno è una piccola città della piana di Gioia Tauro, in Calabria, in Italia, in Europa. Bisognerebbe che non si potesse più, d’ora in poi, parlare dell’Europa, dell’Italia senza avere in mente Rosarno nella piana di Gioia Tauro. Questo territorio è stato sottratto al governo della Repubblica ed è sotto il controllo della ‘ndrangheta. Questa organizzazione criminosa non è solo capace di un’azione militare che la configura come detentrice di un potere, a volte persino soverchiante su ogni altro, un potere fondato sulla violenza, ma è capace di realizzare una potenza economica di dimensioni sovranazionali ed è capace di dar vita ad un sistema di relazioni politiche attraverso il quale sviluppa le collusioni della criminalità organizzata con le amministrazioni pubbliche. Vogliamo chiamarlo un distretto economico-criminale? Un’area omogenea di business? Bisognerebbe che non si potesse più parlare del capitalismo finanziario globalizzato senza aver bene in mente anche le sue connessioni con l’economia criminale. Nella piana, come in altri territori del paese, il lavoro stagionale, prevalentemente quello organizzato nelle varie raccolte (avete in mente l’eleganza e la modernità della dieta mediterranea) è svolta dai migranti, una popolazione proletaria nomade, come lo fu una parte del proletariato inglese nella prima industrializzazione, quando percorreva in tutta la sua lunghezza la Gran Bretagna. Unarealtà negata, comunque condannata alla clandestinità, formale o informale che sia. Migranti. Dormono in stabili abbandonati, senza servizi, in baracche di fortuna, nascosti. Sono considerati nonpersone. Alle cinque di mattina si mettono sul viale. C’è chi cerca lavoro giorno per giorno, mettendosi alla prova di un caporale prima dell’alba sulla strada. C’è chi fa parte, invece, di una squadra “stabile” sotto lo stesso caporale, spesso della stessa etnia. Schiavo non è più un’invettiva, è ora la descrizione di una precisa condizione sociale, tanto che una procura della Repubblica ha aperto un procedimento per il reato di “messa e mantenimento in condizione di schiavitù”. La ‘ndrangheta si configura così come vero e proprio sistema economico-sociale con, al suo interno, il sistematico ricorso alla schiavitù nell’esperienza del lavoro. Lo si sapeva ben prima dei fatti di Rosarno. Solo che se, ancora dopo di essi, la politica della sinistra continua a parlare e fare altro si condanna a non potere più esistere nel Mezzogiorno.
(…)
In Francia il movimento La journée sans immigrés: 24h sans nou ha proclamato uno sciopero dei migranti per il primo marzo. “Senza di noi” è il messaggio forte e diretto dello sciopero dei migranti. In Italia la sollecitazione è stata raccolta dal collettivo Primo marzo 2010 che ha rilanciato lo sciopero del 1° marzo anche da noi. Quel che è accaduto sfiora l’incredibile. Le grandi organizzazioni politiche di opposizione tacciono; i sindacati, persino la CGIL, non solo non aderiscono ma contrastano l’iniziativa. Solo la FIOMe alcuni sindacati extraconfederali dialogano subito con i promotori, pronti a partecipare. Ma il silenzio colpevole e l’opposizione dichiarata delle Confederazioni resta soverchiante. Secondo questa linea di opposizione allo sciopero dei migranti la mobilitazione sarebbe sbagliata perché dividerebbe, perché racchiuderebbe la protesta in una cornice etnica, perché non avrebbe concrete possibilità di riuscita (hai presente le badanti? ti dicono). E’ difficile capacitarsi di una così enorme incomprensione da parte di organizzazioni che hanno alle spalle una storia importante di lotte. Certo, la lotta dei migranti è difficile, sottoposta a ricatti, a volte persino deve confrontarsi con le difficoltà soggettive di chi presta cura alle persone, ma ogni lotta presenta le sue difficoltà che “prima” possono, più di una volta, sembrare insormontabili. L’inventiva, l’unità, la creatività di soggetti motivati possono vincere qualsiasi difficoltà, specie se attorno si crea una rete di solidarietà e di partecipazione, anche nelle forme più diverse. Non dovrebbe essere il primo compito di un sindacato confederale? L’argomento secondo il quale questo sciopero avrebbe diviso e per di più lungo un crinale etnico è privo di qualsiasi fondamento. La mobilitazione riguarda in effetti una parte della popolazione lavorativa, e allora?
(…)
Ci si sarebbe dovuti buttare a fondo nell’impresa, sostenere il coordinamento nazionale Primo Marzo 2010, spingersi più avanti, moltiplicare le forme di partecipazione, intrecciare scioperi e mobilitazione degli altri lavoratori. Avremmo dovuto tutti insieme, sindacati, sinistra politica, associazioni, movimenti, provare a rispondere positivamente alla domanda di Primo marzo 2010: “Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del razzismo?” Si è persa la grande occasione, quella di organizzare un dibattito pubblico, di massa, a partire dai lavoratori tutti, locali e migranti, su uno sciopero di rottura che solo così si sarebbe potuto fare. Sarà bene non dimenticarsene e continuare a riflettere e a partecipare. A riflettere dopo Rosarno, dopo la mancata reazione, dopo un’occasione mancata, in primo luogo sul deficit culturale e politico della sinistra, del sindacato, nostro, un deficit che costituisce una concausa dell’intollerabile vuoto. Interessanti nuovi studi sull’economia ci hanno suggerito la tesi secondo cui il capitalismo non può essere letto per stadi successivi, evolutivi, ci hanno detto che le tappe che seguono incorporano organicamente parti che sembravano appartenere esclusivamente ad un ciclo precedente, tanto che sarebbe presente nell’ultimo capitalismo anche il momento dell’accumulazione primitiva. Questo accade di certo nel mercato del lavoro dove, lo impariamo ogni nuovo giorno, accanto alla messa all’opera (seppur senza riconoscimenti) della conoscenza allargata di cui dispone il lavoratore per sua esperienza sociale, resta il lavoro tradizionale, mentre torna attuale persino il ricorso alla schiavitù. Per non dimenticare Rosarno bisognerà allora lavorare ad una nuova unità critica di questa inedita coalizione lavorativa. Intanto c’è chi già ci lavora, purtroppo con l’aiuto di pochi, tra cui l’Arci e alcune organizzazioni di volontariato. Ci lavora Primo marzo 2010. Il suo manifesto recita così:
“Primo marzo 2010 si propone di organizzare una grande manifestazione non violenta per fare capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Questo movimento nasce meticcio ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto al razzismo e delle discriminazioni verso i più deboli. Si collega e si ispira La journée sans immigrés: 24h sans nou, il movimento che in Francia sta organizzando uno sciopero degli immigrati per il 1 marzo 2010”.
Diamogli una mano.

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