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Da Palazzo San Gervasio, a proposito di Noureddine...

lunedì 21 febbraio 2011

Palazzo San Gervasio è un piccolo comune della Basilicata che ogni anno, in un preciso periodo dell'anno, si riempie di lavoratori stagionali immigrati, che vengono impiegati nella raccolta del pomodoro. Palazzo San Gervasio è una delle tante Rosarno disseminate per la Penisola.
Anche a Palazzo San Gervasio si sta organizzando il Primo Marzo. Dall'associazione Michele Mancino e dall'Osservatorio Migranti della Basilicata, due realtà che in quasi totale solitudine lavorano con e per i migranti da queste parti, abbiamo ricevuto questo racconto. Ci sono molte Rosarno in Italia, ci sono molti Noureddine.
«Nabir, così lo chiamavamo, è in Italia da 7 anni, vive a Palazzo San
Gervasio dal 2007 ha lavorato p/o diverse aziende in agricoltura e in
edilizia oltre a prestare le sue braccia per piccoli lavori saltuari
nelle attività più varie. Pur lavorando in modo continuativo non è mai
riuscito a regolarizzarsi con un datore di lavoro. L’OMB lo ha
conosciuto tanti anni fa, aveva una benda che gli fasciava la testa e
che evidentemente copriva una brutta ferita. Lui ci aveva detto che
quella ferita era dovuta ad una lite scoppiata perché aveva denunciato
ala stampa il sistema del caporalato che interessa la raccolta dei
pomodori. Lo abbiamo conosciuto assieme a “Pellegrino” un altro
tunisino che da poco era stato vittima di una retata fatta in una
azienda agricola e che per non avere i documenti in regola era stato
rinchiuso al CPT di Bari. Pellegrino in realtà il Permesso di
Soggiorno gli era scaduto e non riuscendo a trovare lavoro nei sei
mesi concessi dalla Bossi Fini non poteva più soggiornare sul suolo
italiano. Lo scorso giovedì, subito dopo la notifica di espulsione, esprimeva il
proprio stato di grave disagio li veniva proposta la prospettiva di
Ritorno in Patria (Tunisia) attraverso il progetto NIRVA, possibilità
che comunque egli non poteva usufruire perché privo dello status di
rifugiato politico o vittima di tortura e violenza. Non è nelle sue
intenzioni rientrare in Patria anche perché come tutti sanno in questo
momento dalla Tunisia molti fuggono proprio in Italia a Lampedusa.
Nabir diceva di essersi rivolto a tutti per poter trovare una
soluzione a questo decreto di espulsione emesso nei suoi confronti,
senza esito, minacciava quindi di voler compiere questo gesto di
autolesionismo dandosi fuoco in piazza. L’indomani quando I
carabinieri sono andati a prelevarlo dalla sua abitazione ha tentato
di compere quel gesto premeditato, stando alla cronaca vedi articoli
pubblicati sulla Nuova del Sud e sulla Gazzetta del Mezzogiorno,
fortunatamente non è riuscito nel suo intento di autolesionismo
estremo. Temiamo che possa reiterare in carcere tale gesto.
Il nostro sportello legale si sta occupando del caso, non neghiamo
ancora una volta che il tutto sarà finanziato dalla nostra
associazione, per cui chiediamo a chi ci segue di aiutarci nella
raccolta fondi, affinché tutti gli uomini e donne nel nostro Paese
possano avere una giustizia giusta».

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