con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona viene esteso il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio in oltre quaranta nuove materie, tra le quali lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – che comprende i controlli alle frontiere, l’asilo e l’immigrazione, la cooperazione giudiziaria civile e penale e la cooperazione di polizia – e che, pertanto, sarà possibile delineare una politica europea in questi campi, con gli strumenti della procedura legislativa ordinaria, basata sulla codecisione tra Parlamento e Consiglio su proposta della Commissione;
- il fenomeno migratorio ha assunto nei Paesi dell’Unione dimensioni notevoli (sono almeno 25 milioni i residenti extracomunitari, senza considerare gli immigrati clandestini), conseguenza della ineguale distribuzione dell’accesso alle risorse, del potere e dei diritti politici, sociali ed economici nel mondo;
- le politiche nazionali nei confronti del fenomeno migratorio si sono rilevate finora, in larga misura, inadeguate, dal punto di vista della gestione del problema (accoglienza, inserimento), da quello della tutela dei diritti individuali, civili e sociali, ed in termini di politica di aiuto allo sviluppo nei confronti dei paesi poveri;
- in questi decenni si è determinata, a causa delle differenti legislazioni nazionali in materia, una situazione confusa, incerta e contraddittoria nella tutela dei diritti civili, politici, sociali ed economici della popolazione immigrata nei Paesi dell’Unione;
- il concetto di cittadinanza europea, così come delineato nel Trattato di Maastricht, pur costituendo un’innovazione importante dal punto di vista giuridico-politico in quanto consente di attribuire diritti politici ai cittadini comunitari in base al criterio della residenza indipendentemente dalla nazionalità, crea però una discriminazione ancora più forte tra europei e cittadini di paesi terzi, i quali, pur risiedendo anche da molti anni in uno Stato membro, godono di meno diritti sia nei confronti dei cittadini di quello Stato, sia di un qualsiasi altro Stato dell’Unione;
- i tentativi finora condotti dalla Commissione europea (Direttiva del 2001) volti a ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini dei paesi membri offrendo a coloro che soggiornano legalmente in maniera prolungata l’opportunità di ottenere la cittadinanza dello stato membro in cui risiedono (e quindi la cittadinanza europea) si sono infranti contro la volontà del Consiglio (2003) di svuotarne di contenuto la portata innovativa;
si renda necessaria una reale politica europea per l’immigrazione e contro l’esclusione attraverso l’emanazione di atti legislativi ed iniziative politiche basate sui seguenti principi:
1) una programmazione europea dei flussi migratori concordata con i Paesi terzi, a cominciare da quelli della sponda mediterranea dell’Africa, con regole europee volte ad eliminare disparità di trattamento in ingresso, nell’accoglienza e nel primo inserimento;
2) la costituzione di un’Agenzia Europea del Lavoro che presieda all’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro ‘legale’ e ad una prima attività di formazione;
3) una politica europea di aiuto allo sviluppo che razionalizzi l’impiego delle risorse e dia impulso unitario a progetti a favore dei PVS;
- con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che rende vincolante la Carta europea dei diritti fondamentali “tutte le persone sono uguali davanti alla legge” (art. 20) e che “nell’ambito di applicazione dei trattati…..è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità” (art. 21 – 2) e che pertanto non è più accettabile che persone residenti da lungo periodo all’interno dell’Unione, che lavorano, pagano tasse e contributi sociali, vengono richiesti di obbedire al nostro sistema di leggi e che, nonostante ciò, siano esclusi dal diritto alla partecipazione politica, che sia impedito loro l’accesso al diritto di concorrere alla formazione delle leggi che poi dovranno rispettare;
- all’interno del territorio dell’Unione europea si sono oramai determinate caste di cittadinanza con diritti differenti: a) cittadini nazionali che vivono sul loro territorio nazionale, con diritto di voto e di eleggibilità per tutte le elezioni; b) cittadini della UE che vivono in un Paese membro diverso dal loro e godono dell’elettorato attivo e passivo solamente per le elezioni municipali ed europee; c) originari di Stati terzi che a seconda dei casi godono (Belgio, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia) o meno (Germania, Austria, Francia, Grecia, Italia) dei diritti elettorali per determinate elezioni locali in funzione della legislazione del paese di residenza, con delle particolarità per alcuni Paesi (Spagna, Portogallo, Regno Unito); d) infine in tutti gli Stati vi sono i paria, i senza casta, i clandestini;
- l’attuale cittadinanza europea istituisce uno status giuridico post-nazionale, ma pre-cosmopolitico, nella misura in cui dalla cittadinanza dell’Unione restano escluse persone che provengono da Paesi Terzi;
- la cittadinanza europea deve essere intesa, invece, come l’embrione della cittadinanza cosmopolitica, una cittadinanza che, in quanto tale, amplia la portata e rafforza i contenuti dei diritti liberali, politici e sociali, che consente al cittadino di liberarsi dalla condizione di minorità morale e civile in cui lo relega l’ideologia del nazionalismo e che gli consente di avere diritti (e doveri) in qualsiasi luogo del mondo voglia risiedere, in quanto persona;
è giunto il momento di rompere l’ultimo legame tra la cittadinanza e la nazionalità – retaggio storico dello Stato-nazione – e di fondare la cittadinanza europea sulla residenza in base alla quale si possa affermare che “è cittadino dell’Unione chiunque abbia la residenza nel territorio di uno Stato membro o abbia la nazionalità di uno Stato membro”;
le sezioni e le strutture territoriali a sviluppare un fecondo confronto con le associazioni degli immigrati (comunitari ed extracomunitari) per far comprendere il legame intrinseco tra l’obiettivo della federazione europea e l’estensione del diritto di cittadinanza, avviando una battaglia comune su questo obiettivo strategico al fine di far avanzare il processo di unificazione europea in senso federale;
a tal fine, all’iniziativa “Primo Marzo sciopero degli stranieri”, anche come primo momento di mobilitazione per una cittadinanza europea di residenza.
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