Questa intervista, firmata da Ginevra Battistini, è uscita su Mixamag.
Il lavoro come tema unificante, perché il lavoro riguarda tutti, immigrati e italiani, o almeno così dovrebbe essere. È uno dei punti essenziali su cui converge quest’anno la mobilitazione del primo marzo 2011. Oltre al comitato promotore, che in questi giorni ha lanciato la campagna di adesione all’iniziativa, si stanno organizzando associazioni, partiti, sindacati, istituzioni locali, singoli cittadini interessati a tornare in piazza insieme per difendere e valorizzare la società multietnica, la nuova cittadinanza. Ovvero un'identità che tenga conto anche dei quasi 5 milioni di stranieri residenti nel nostro Paese. A raccogliere la sfida quest’anno è prima di tutti Cecile Kashetu Kyenge, coordinatrice nazionale e portavoce del comitato Primo Marzo dal settembre scorso: “Noi parliamo di mixitée per indicare una società che elimini le barriere tra gli immigrati e gli italiani e che promuova una convivenza civile in cui ognuno mantenga la sua identità culturale, condividendo però i valori di base”. A lei, immigrata congolese naturalizzata italiana, il compito di dar voce prima di tutto alle rivendicazioni degli stranieri con l’obiettivo di renderli più che mai coscienti dei propri diritti e protagonisti della vita politica del Paese in cui hanno scelto di vivere. Anche per le sue origini Cecile è stata scelta, ma non solo. Per la sue competenze e i rapporti con la società civile acquisiti negli anni grazie all’impegno nella difesa dei diritti dei migranti
Il lavoro dunque come filo conduttore di questa edizione dello sciopero. Perché?
Perché il lavoro, la disoccupazione, la precarietà riguarda oggi moltissimi italiani, vecchi e nuovi. La mancanza di garanzie, di tutele accomuna una fetta amplissima di popolazione. Per l’immigrato però è una condizione essenziale e ancora più penosa: se non trova un nuovo lavoro entro 6 mesi perde anche il permesso di soggiorno e la possibilità di rimanere in Italia. Diventa colpevole del suo stato sociale, del suo stato economico e questo, peraltro, è in contraddizione con la Costituzione italiana che dovrebbe garantire a tutti pari opportunità.
L’anno scorso i sindacati hanno fatto fatica a capire l’importanza del vostro movimento. Vi hanno guardato con sospetto fino all’ultimo e con ritardo hanno aderito, seppure in parte, alla manifestazione. Quest’anno sono più presenti?
La Fiom nazionale ha già aderito. Gli altri potrebbero farlo nelle prossime settimane. Il dialogo è aperto con tutti e c’è più ascolto, più interesse rispetto a un anno fa. Senz’altro, c’è una maggiore pressione da parte degli iscritti immigrati nei confronti delle loro organizzazioni affinché difendano anche la loro particolare condizione di lavoro.
Avete una piattaforma politica e delle proposte concrete da fare a chi governa il Paese?
Non abbiamo una rappresentanza istituzionale ma contribuiamo con il nostro lavoro a portare avanti alcune istanze che trovano già spazio in Parlamento. Come la lotta al caporalato o la richiesta di dare il permesso di soggiorno a chi è stato truffato e derubato durante la sanatoria del 2009. Riteniamo fondamentale abolire il reato di clandestinità e stiamo studiando una nuova legge di riforma della cittadinanza, mentre siamo per il voto amministrativo agli stranieri residenti da almeno 5 anni. Chiediamo anche il superamento della Bossi - Fini e la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Da sempre poi combattiamo il razzismo istituzionale, quello che ha preso corpo in certe leggi e certi provvedimenti come il pacchetto sicurezza del 2009.
Al primo marzo 2010 avrebbero partecipato circa 300mila persone e le città coinvolte sono state 60. Qual è l’obiettivo di quest’anno e come pensate di raggiungerlo?
Speriamo di riuscire a mantenere questo risultato, ma al di là dei numeri quello che conta è la partecipazione. Ci sono colf e scuole che aderiscono ma che non possono scioperare, e con loro abbiamo pensato a letture in classe sui temi dell’immigrazione o all’esposizione di una bandiera gialla (colore del movimento, ndr) sul davanzale della finestra. Ci sono già molti comitati attivi a livello locale, per esempio a Roma, Brescia, Bologna o a Modena. L’Emilia Romagna al momento è la regione da cui arrivano i maggiori contributi all’organizzazione, e già nel fine settimana del 26 e 27 febbraio sono previste manifestazioni locali che poi confluiranno a Bologna in quella regionale del primo di marzo. Pachistani, singalesi, albanesi l’anno scorso hanno dato una grossa mano. Anche questa volta, c’è chi non andrà a lavorare, chi seguirà la giornata dopo o prima il lavoro, attraverso i dibattiti, i cortei, le feste, le lezioni pubbliche e le tante iniziative ancora in via di definizione.
Il Primo Marzo coinvolgerà altri Paesi come nell’edizione dell’anno scorso?
Sì. Tutto è partito dalla Francia e anche quest’anno francesi vecchi e nuovi scenderanno in piazza insieme. Stessa cosa in Gran Bretagna, Germania e Spagna. Quest’anno abbiamo coinvolto anche organizzazioni degli Stati Uniti e ci aspettiamo una loro partecipazione. Proprio in questi giorni sarò all’incontro di Gorée in Senegal, luogo simbolo dello schiavismo e dell’emigrazione selvaggia di tutti i tempi, dove verrà ufficializzata la Carta Mondiale dei Migranti alla cui stesura abbiamo contribuito anche noi del Primo Marzo. Mi sono sempre battuta per far riconoscere la doppia identità degli immigrati ed evitare le esclusioni non solo nei Paesi d’arrivo ma anche in quelli di origine. I migranti per primi non hanno chiara la loro identità. Questo è un nodo fondamentale da sciogliere per permettere loro di far parte del Paese che hanno scelto per vivere, mantenendo al contempo le radici con quello in cui sono nati. Il mio compito è sempre stato quello di risvegliare le coscienze: se vogliamo il cambiamento, il cambiamento deve partire da noi, qui e là”.
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