Dapprima in Francia, poi in Italia, in Spagna, in Grecia e in altri paesi europei, la giornata del primo marzo è stata proclamata “una giornata senza di noi” con l’intento da parte dei/delle migranti che vivono in questi paesi di far percepire, per un giorno, l’importanza della loro presenza economica e sociale sia attraverso lo sciopero sia attraverso altre forme di protesta come l'astensione dai consumi. Ispirata alla giornata del primo maggio del 2006, quando in varie città degli Stati Uniti i/le migranti privi/e di documenti di soggiorno erano riusciti/e a bloccare la vita economica e sociale di quelle città attraverso una massiccia astensione dal lavoro e fluviali manifestazioni in cui ricordavano a tutti che “We are America”, questa giornata ci sembra di particolare importanza anche per iniziare una necessaria riflessione sulle forme della nostra esistenza comune di cittadini/e e non cittadini/e, migranti e non.
Per questo, abbiamo deciso di assumere come parte del nostro testo quello sottoscritto da alcuni lavoratori africani di Rosarno. Riteniamo, infatti, che quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni di gennaio – le intimidazioni e le violenze sui migranti, la rivolta dei lavoratori africani, la “caccia al nero” dei giorni successivi, il coinvolgimento di alcune parti della mafia nella “gestione dell’ordine pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i lavoratori africani, la loro detenzione nei centri di identificazione ed espulsione e la minaccia di espulsione per quelli privi di permesso di soggiorno – sia il precipitato, soltanto più visibile, delle scelte politiche con cui negli ultimi anni i governi che si sono succeduti hanno affrontato e voluto gestire il fenomeno globale delle migrazioni. Il risultato, innanzitutto, di una volontà di generale clandestinizzazione della presenza dei/lle migranti e dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che ha permesso, non solo a Rosarno, ma nel Sud come nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e le serre così come nelle fabbriche e le piccole imprese, o nelle famiglie, forme di assoluto sfruttamento della forza lavoro possibili grazie a un’illegalità diffusa del mercato del lavoro generata proprio dalle leggi che normano l’immigrazione. Ricordiamo di seguito alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla base di quanto accaduto a Rosarno così come di quanto accade quotidianamente nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano 1998, con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante, compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel maggio del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane con la deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati dallo stato italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati provenienti dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. La criminalizzazione dei migranti privi di permesso di soggiorno produce effetti a cascata su tutti/e i/le migranti che vivono in Italia, rendendo precaria la condizione degli/delle stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e a continue discriminazioni e alla possibilità sempre presente di ricadere nell’“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si chiedono i lavoratori africani di Rosarno, in una lettera scritta durante l'assemblea in cui si sono incontrati a Roma alla fine di gennaio, descrivendo prima di questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla giornata lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di episodi di violenza e intimidazioni. “Come può esistere chi non esiste” è, infatti, secondo noi, la domanda di fondo diventata sempre più impellente in Italia e generata da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai erodendo la vivibilità comune delle nostre città. O, meglio, come possono esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione, dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e all’ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?
Aderiamo a questa giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici, disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi salari e senza garanzie.
La scandalosa difficoltà nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile costruire spazi di convivenza futuri.
Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane
firmatari:
Fabio Amaya (Università di Bergamo)
Anna Curcio (Università di Messina)
Umberto Galimberti (Università di Venezia)
Maria Grazia Meriggi (Università di Bergamo)
Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
Renata Pepicelli (Università di Bologna)
Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)
Antonello Petrillo (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federico Rahola (Università di Genova)
Fabio Raimondi (Università di Salerno)
Maurizio Ricciardi (Università di Bologna)
Anna Maria Rivera (Università di Bari)
Gigi Roggero (Università di Bologna)
Pier Aldo Rovatti (Università di Trieste)
Devi Sacchetto (Università di Padova)
Anna Simone (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)
Federica Sossi (Università di Bergamo)
Alessandro Triulzi (Università di Napoli L’Orientale)
Tiziana Terranova (Università di Napoli L’Orientale)
Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo)
per ulteriori adesioni: http://www.PetitionOnline.com/march1st/petition.html
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2 commenti:
Ho letto alcuni commenti sull'iniziativa di oggi scritte sul Corriere della Sera e non vi nascondo la mia vergogna solo nel leggerli in quanto intrisi di ignorante Razzismo!!
1 marzo 2010 alle ore 13:48Quindi Plaudo all'iniziativa che ci ricorda la nostra apprtenenza all'UNICO GENERE, quello UMANO che in quanto tale DOVREBBE GODERE dei medesimi diritti!
Grazie a tutti voi!
Simona, firenze
Forse si è perso un commento.
1 marzo 2010 alle ore 17:27Sel di Brescia e Libertà & Giustizia di Brescia hanno aderito fin dal 29 gennaio.
Comitato I Marzo 2010 Brescia.
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